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L’INTELLIGENCE al servizio della DEMOCRAZIA tra trasparenza e sicurezza dei cittadini

“L’intelligence non è sinonimo di spionaggio”. L’intervento di Giovanni Nistri, Comandante generale emerito dell’Arma dei Carabinieri, chiarisce un equivoco diffuso e delimita il campo di una riflessione che riguarda l’Italia e la tenuta stessa delle democrazie contemporanee. La dimensione informativa è fondamentale per la sicurezza degli Stati, ma opera in un contesto in cui il potere si gioca sempre più sui dati, sulla loro interpretazione e sulla capacità di trasformarli in decisione strategica.

Ospite a Conversano per presentare in anteprima il volume INTELLIGENCE di Mario Caligiuri (ed. Treccani), Nistri individua tre momenti che hanno inciso in maniera irreversibile sulla fisionomia dell’Intelligence. La caduta del Muro di Berlino (1989) dissolve il bipolarismo: gli Stati si trovano a muoversi in un sistema privo di certezze, dove alleati e avversari non coincidono più con gli schemi rigidi della guerra fredda. L’attentato alle Torri Gemelle (2001), segna l’irruzione globale del jihadismo e impone il passaggio da una logica repressiva a una preventiva, estesa anche allo spazio digitale. L’attacco alla redazione parigina di Charlie Hebdo (2015) imprime all’opinione pubblica occidentale la consapevolezza che l’Intelligence non è più un dominio occulto del potere, ma un presidio della sicurezza dei cittadini.

Questa parabola si traduce in un cambiamento di paradigma: la trasparenza. Nei sistemi democratici i Servizi non possono più agire esclusivamente nell’ombra, ma devono rendere conto della loro funzione di supporto ai decisori. È un passaggio delicato: l’Intelligence diventa al contempo custode della segretezza e oggetto di legittimazione pubblica. Qui si innesta un’altra riflessione chiave di Nistri: la necessità di costruire una “comunità di Intelligence” che trascenda i confini statali e affianchi la cosiddetta “para-Intelligence” – reparti specializzati come ROS, SCO o SCICO -, le multinazionali energetiche/finanziarie, le agenzie private e gli organismi sovranazionali. Una rete dove il valore dell’informazione si misura non solo nel suo utilizzo, ma nella possibilità di scambio. In questo contesto, il modello italiano, pur con margini di miglioramento, rappresenta un esempio apprezzato e studiato.

La legge 801 del 1977 e la successiva legge 124 del 2007 hanno introdotto principi di separazione, coordinamento e controllo parlamentare, fissando regole precise per la cooperazione tra Agenzie, Forze di Polizia e Magistratura. Strutture come il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA) hanno consolidato un approccio integrato che, secondo Nistri, non trova riscontri analoghi in molti partner europei. Un punto di forza, ma anche un vincolo: un sistema che funziona in tempo di pace può rivelarsi più rigido in situazioni di crisi, dove la rapidità decisionale prevale sulla concertazione.

L’attacco a Charlie Hebdo ha mostrato i limiti del modello francese, segnato da frammentazioni e scarsa comunicazione tra apparati, che hanno impedito al Groupe d’intervention de la Gendarmerie nationale (GIGN) – la cui sede è a pochi metri dal luogo dell’attentato – di intervenire tempestivamente. Al contrario, la cooperazione italiana ha garantito finora una immunità da eventi simili. Ma la partita non si gioca solo in Europa. Negli Stati Uniti il caso iracheno evidenzia le tensioni tra Intelligence e politica: Il 5 febbraio 2003, Colin Powell sostenne falsamente davanti alle Nazioni Unite che Saddam Hussein disponeva di armi di distruzioni di massa. La “pistola fumante” – offertagli dal Secret Service britannico e rivelatasi “un terribile errore” – rimane per Nistri un esempio di come i dati possano essere manipolati o “organizzati” per sostenere decisioni già prese. La questione riguarda direttamente l’autonomia dei Servizi: fornire analisi indipendenti o piegarsi alle esigenze narrative del potere.

A complicare lo scenario è l’ingresso della disinformazione: le fake news sono ormai superate dall’impatto dei deepfake, capaci di demolire in pochi secondi la credibilità di un leader o di destabilizzare mercati e opinioni pubbliche. Chi controlla la veridicità delle immagini e delle parole influenza direttamente la percezione collettiva degli eventi, trasformando l’informazione in leva geopolitica.

L’Intelligence diventa così garante della sicurezza nazionale e attore in un conflitto globale che non si combatte più soltanto con armi convenzionali, ma con dati, immagini e narrazioni. Per l’Italia, crocevia del Mediterraneo e partner di alleanze complesse, la sfida è duplice: mantenere l’efficacia di un modello fondato sulla cooperazione interistituzionale e adattarlo a un contesto internazionale in cui trasparenza, rapidità e resilienza informativa diventano risorse tanto quanto l’energia o le infrastrutture.

Nistri sintetizza questa trasformazione con un’immagine: l’Intelligence non è più arcana imperii, ma presidio della sicurezza dei cittadini. È la sintesi di una rivoluzione copernicana che ridefinisce il rapporto tra segreto e trasparenza, potere e opinione pubblica, autonomia nazionale e interdipendenza globale. Ed è in questa tensione che si gioca il futuro della sicurezza occidentale.

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