L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE tra regolazione e sovranità tecnologica
Il volume curato da Antonio Felice Uricchio e Claudio Caldarola, presentato pochi giorni dopo l’approvazione della prima legge nazionale sull’IA, documenta l’architettura normativa europea nel momento in cui la ricerca attraversa soglie decisive. Intanto i firmatari dell’Appello all’ONU avvertono: “I regolamenti non bastano”, serve un’autorità indipendente che vigili sui confini.
Settembre 2025 segna una coincidenza non casuale. Il 17 settembre il Senato approva in via definitiva la legge italiana sull’intelligenza artificiale, rendendo l’Italia il primo Paese UE con quadro normativo nazionale pienamente allineato all’AI Act. Cinque giorni dopo, il 22 settembre, al festival Lectorinfabula a Conversano viene presentato il volume L’intelligenza artificiale tra regolazione e esperienze applicative (ed. Cacucci) curato da Antonio Felice Uricchio e Claudio Caldarola, presidente AVUR e presidente GP4AI, con introduzione di Franco Gallo, presidente emerito della Corte Costituzionale. Il 25 settembre la presentazione si ripete alla Sapienza di Roma nell’ambito del Master in Data science per la pubblica amministrazione.

Intanto, all’80esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Maria Ressa parla di “caos epistemico” e porta un appello di oltre duecento personalità scientifiche e culturali, da Geoffrey Hinton a Giorgio Parisi, da Joseph Stiglitz a Yuval Harari. Tra i firmatari anche l’ex premier Enrico Letta e l’ex ministra dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza. Chiedono linee rosse invalicabili entro il 2026 – nessuna impersonificazione umana da parte delle macchine, divieto di replicazione autonoma, esclusione dell’intelligenza artificiale dalla guerra nucleare – e avvertono che i regolamenti nazionali o regionali non bastano, serve un’autorità indipendente che vigili sui confini. Ma la ricerca scientifica dimostra che quei confini sono già stati, almeno in parte, attraversati.
A Stanford Evo un algoritmo ha progettato da zero genomi virali funzionanti. In California Mindstate Design Labs ha concluso un trial clinico con una molecola in grado di indurre neuroplasticità senza allucinazioni. Non si tratta di simulazioni: sono organismi e stati mentali che prima non esistevano.
La legge italiana designa l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) e l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) quali autorità competenti, istituisce una strategia nazionale aggiornata con cadenza biennale, prevede monitoraggio annuale al Parlamento, attiva un programma di investimenti da un miliardo di euro per startup e PMI nei campi dell’intelligenza artificiale, cybersicurezza e tecnologie emergenti. Si fonda su principi di uso antropocentrico, trasparente e sicuro, con particolare attenzione a innovazione, accessibilità e tutela della riservatezza.
Il volume di Uricchio e Caldarola, prezioso nella documentazione e nell’ampiezza degli sguardi, coglie il momento di transizione.
L’Europa si muove sul terreno che conosce – regole, diritti, garanzie – ma arriva quando la tecnologia ha già valicato i confini che la legge intende presidiare. Franco Gallo lo riconosce con chiarezza: il regolamento interviene quando le macchine sono già operative. E lo stesso Uricchio sottolinea la fragilità di fondo: nei Trattati europei non esiste competenza sulla tecnologia. L’AI Act poggia su un costrutto giuridico derivato, più che su un titolo pieno. E intanto difesa e sicurezza – i campi più critici – restano fuori dal perimetro normativo.
Il confronto con Stati Uniti e Cina è impietoso. Washington lascia al mercato ampi margini, preferendo principi vaghi a vincoli rigidi, per mantenere flessibilità competitiva. Pechino integra tecnologia e potere, con una fusione civile-militare dichiarata e oltre il 70% dei brevetti globali nel settore. L’Europa costruisce un approccio etico, antropocentrico, persino raffinato. Ma mentre si affida alla tutela dei diritti, altri accumulano dati, addestrano modelli, sperimentano applicazioni dual use. Qui sta il nodo: regolare tecnologie che non si possiedono significa operare in un vuoto di sovranità.

La prassi precede sempre la norma. Lo dimostra ANVUR, che già utilizza algoritmi per selezionare originalità degli elaborati e valutatori. Ma soprattutto lo dimostra il terreno militare, da cui l’AI Act si tiene lontano. L’intelligenza artificiale non è settore verticale: è l’arena in cui si definisce la gerarchia del potere. Gli Stati Uniti hanno lanciato il Progetto Replicator per schierare migliaia di sistemi autonomi. In Ucraina Palantir supporta targeting militare basato su AI. Israele utilizza algoritmi come Lavender per la selezione dei bersagli. L’Europa, Italia compresa, resta silente.
Eppure le implicazioni di Evo e Mindstate sono evidenti. Un algoritmo capace di generare virus sintetici può anche produrre patogeni letali. Un’intelligenza artificiale che progetta molecole per potenziare la mente può anche crearne per alterarla o annientarla. Il confine fra uso terapeutico e offensivo diventa sottilissimo.
Il volume si concentra – giustamente – su esplicabilità, trasparenza, diritti fondamentali. Ma non siamo più solo nella fase in cui l’intelligenza artificiale diagnostica, categorizza, raccomanda. Siamo nella fase in cui sintetizza, genera, trasforma. È ciò che Gallo e Uricchio riconoscono con onestà: senza formazione, senza investimenti in ricerca e infrastrutture, la regolazione rischia di restare guscio vuoto. Come ricordato dal Presidente Mattarella, solo scuole e università possono creare cittadini capaci di comprendere e governare questa trasformazione. Una popolazione che ignora le basi dell’intelligenza artificiale è manipolabile da essa.
In questo senso, la postfazione di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence, si rivela anticipatrice. L’ibridazione uomo-macchina è realtà: chip cerebrali, molecole progettate per riprogrammare stati mentali, esperimenti di neuromodulazione. La stessa controcultura psichedelica che influenzò la Silicon Valley negli anni Sessanta ritorna come laboratorio sperimentale finanziato dai protagonisti dell’industria tecnologica.
L’appello all’ONU è nobile ma forse fuori tempo massimo. Le linee rosse vengono evocate mentre già si dissolvono: Evo impersona la vita stessa, replicandosi biologicamente. Mindstate riscrive la coscienza. La guerra nucleare resta menzionata, ma quella biologica e cognitiva procede indisturbata.
Il contributo del volume sta proprio in questa tensione. Documenta con rigore l’architettura normativa, ma mostra, suo malgrado, l’asimmetria insanabile fra la lentezza della regolazione e la rapidità della ricerca. L’Europa celebra i suoi argini giuridici mentre la piena tecnologica manda in tilt le paratie delle dighe: la questione non è se le regole sono giuste, ma se ancora hanno forza per sopportare la pressione e regolare i flussi.
Non basta presidiare la dimensione giuridica: serve presenza nei laboratori, accesso ai dataset, capacità di replicare esperimenti. Perchè senza sovranità tecnologica non c’è sovranità normativa. E senza competenza non c’è vigilanza.

