INTELLIGENCE, FRANCO GABRIELLI al Master dell’Università della Calabria: “La SICUREZZA, un BENE COMUNE da perseguire nell’interesse generale”.
I Servizi d’informazione del nostro Paese? “Un patrimonio di cui l’opinione pubblica e la classe politica non hanno quasi mai apprezzato la rilevanza e la specificità”.
Servizi di Intelligence in Italia nel XXI secolo è il titolo della lezione tenuta dal Prefetto Franco Gabrielli – Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica del Governo Draghi e oggi delegato alla Sicurezza del Comune di Milano – al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Gabrielli, esordendo, ha specificato che “l’intelligence, per sua natura, è un mondo che non sempre può essere portato alla conoscenza pubblica”, un universo che “nel tempo si è arricchito di miti, pregiudizi e rappresentazioni distanti dalla realtà”. In Italia, questo scenario è stato esasperato da “episodi oggetto di approfondimenti giudiziari e processi, tanto che nel lessico comune si è radicata la locuzione servizi deviati”.
Servizi deviati, un luogo comune
Riflettendo sulla definizione di deviazione Gabrielli ha citato lo storico Miguel Gotor che, nel saggio Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve 1966-1982 (Einaudi, 2022), chiarisce:
[…] tali depistaggi non scaturirono da alcuna ‘deviazione’ dell’attività dei servizi segreti, come in seguito si volle far credere all’opinione pubblica per carità di patria e per ricercare una consolatoria quanto indulgente versione autoassolutoria, ma costituirono il risultato di un preciso mandato istituzionale, svolto con professionalità e perizia dagli esponenti degli apparati dello Stato costituzionalmente preposti a tutelare la sicurezza nazionale e finanziati con le tasse dei loro concittadini.
Sempre riferendosi a Gotor, il docente ha precisato che l’autore rilegge le pagine in cui si è immaginata l’esistenza di un Servizio deviato, collocandole in una dimensione più consona: “Gli apparati non fecero altro che seguire le indicazioni ricevute, posizionandosi in un contesto geopolitico in cui il nostro Paese – reduce dalla sconfitta bellica – si trovò a operare e vivere. Gotor stesso afferma che tali apparati erano forse più fedeli all’Alleanza Atlantica che alla Carta costituzionale repubblicana”.
Pertanto, come nella realtà anglosassone, “in Italia dovremmo ricercare verità storiche più che giudiziarie”.
Rifacendosi al caso Mattei, Gabrielli ha aggiunto che “l’approccio penalistico mira inevitabilmente ad accertare responsabilità personali e il trascorrere del tempo – unito alla complessità degli eventi – spesso impedisce di identificare responsabilità di tale natura. Al contrario, la responsabilità sistemica, di contesto o di indirizzo politico non rientra più nell’autorità di cosa giudicata, ma rappresenta un’autorità di cosa storica acquisita”.
Tutto ciò contribuisce a far comprendere come il mondo dell’Intelligence sia stato erroneamente rappresentato.
L’evoluzione dei Servizi segreti italiani
Gabrielli è poi passato a delineare la storia dei Servizi del nostro Paese, sottolineando come “questo patrimonio abbia spesso mancato di un adeguato apprezzamento da parte dell’opinione pubblica e della classe politica, nonostante la sua rilevanza e specificità”.
Si tratta di una storia, come l’ha definita, “molto frammentata e priva di una legislazione unitaria, contraddistinta da un sistema binario antagonista, con un forte anelito unitario, che il legislatore ha trasformato in sistema ibrido”.
Già dopo la fondazione del Regno d’Italia, presso i ministeri e le forze armate furono istituiti uffici preposti alla raccolta e all’elaborazione delle informazioni. Nel corso del tempo i Servizi subirono cambiamenti mantenendo però sempre una distinzione tra servizi civili e militari.
“La prima regolamentazione legislativa dei nostri Servizi – ha spiegato Gabrielli – risale al 1977″ in un contesto storico caratterizzato da Guerra fredda, emergenza terroristica e politica nazionale. E un governo contrassegnato da una inedita alleanza tra democrazia cristiana, rappresentante delle politiche occidentali, e partito comunista, ideologicamente riferito all’Unione Sovietica.
La Sentenza della Corte Costituzionale n.86 del 24 maggio 1977 considera quello della sicurezza un diritto costituzionale preminente, ovvero che precede e consente l’esercizio di tutti gli altri. E per assicurare questo diritto, ci sono persone e istituzioni che devono assolvere ai loro doveri. Da qui la legge n.801 del 24 ottobre 1977, Istituzione e ordinamento dei Servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato.
“Il governo – ha puntualizzato il Prefetto – sciolse il SID e creò due agenzie: il SISMI Servizio informazioni per la sicurezza militare, alle dipendenze del Ministero della Difesa e il SISDE Servizio informazioni per la sicurezza democratica, alle dipendenze del Ministero dell’interno. La riforma non eliminò la divisione tra organi militari e civili ma istituì un ente, il CESIS Comitato esecutivo per i Servizi di informazione e sicurezza, per coordinare le attività. Il SISMI, associato al controspionaggio, assunse le vesti di Servizio generalista, mentre il SISDE si concentrò soprattutto sul terrorismo che, in quegli anni, insanguinava il Paese”.
Un ulteriore passo nella storia dell’intelligence italiana è rappresentato dalla legge 124 del 2007.
“Si tratta di una legge di iniziativa parlamentare, approvata all’unanimità, che sostituì SISMI e SISDE con AISI Agenzia italiana per la sicurezza interna e AISE Agenzia italiana per la sicurezza estera. In tal modo fu superata la divisione tra servizi militari e civili e i compiti vennero suddivisi in maniera diversa: all’AISI il compito del controspionaggio all’interno del territorio nazionale, all’AISE la responsabilità della controproliferazione , sia all’estero sia entro i confini nazionali”.
In tal modo, il nostro Paese seguì l’approccio adottato nella maggior parte dei Paesi occidentali, Stati Uniti in primis, dotandosi di un organo per la sicurezza interna e uno per l’estero. Non solo: “fu creato il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica che raggruppa le due agenzie, le autorità e gli organi che hanno il compito di assicurare le attività informative ed è posto alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio”.
Rimarcando il tema della frammentarietà del potere, come limite del sistema italiano, Gabrielli ha evidenziato la mancanza di un modello dinamico di controllo, esprimendo preoccupazione per il timore diffuso di un eccessivo accentramento del potere che ritarda una necessaria riforma dei Servizi.
Individuando due missioni sostanziali per i Servizi, Gabrielli ha sottolineato l’urgenza di “consentire al decisore politico di svolgere funzioni determinanti”. Tuttavia, ciò richiederebbe una cultura dell’intelligence, considerato che “lo scenario politico italiano contemporaneo concepisce le agenzie come un mondo di dossieraggio, laddove è invece un ambito a tutela degli interessi nazionali”. La seconda missione, identificata da Gabrielli, riguarda l’analisi delle informazioni: “L’enorme quantità di dati richiede, ai fini valutativi, un’altissima specializzazione degli operatori” . Con sole quattro mila unità attive nel comparto, Gabrielli ha posto l’accento sulla questione della selezione di tali figure, evidenziando le differenze tra l’approccio degli operatori delle forze di polizia e quello degli operatori d’intelligence.
Ha inoltre richiamato due contributi che, in qualità di Autorità delegata, ha fornito per rafforzare il settore: l’istituzione del clandestine service, che protegge gli operatori AISE negli scenari esteri, e la creazione dell’ACN Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, facilitata dal PNRR e focalizzata sulla resilienza cibernetica.
Su questo punto, Gabrielli ha delineato quattro pilastri fondamentali: “la cyber-resilienza, conferendo all’ACN un ruolo di coordinamento specifico; la cyber intelligence, di competenza delle agenzie AISE e AISI; la cyber-defense, riguardante il comparto militare; la cyber-investigation prerogativa delle forze di polizia, in particolare della Polizia Postale”.
Nel concludere, il docente ha definito l’intelligence “un asset fondamentale dello Stato”, ribadendo l’importanza che “i decisori politici ne comprendano la rilevanza strategica” ed evidenziando il rischio che “le informazioni fornite dall’intelligence siano ignorate, come accaduto non di rado in passato”.
Gabrielli ha poi argomentato che, “in un contesto sociale e politico influenzato dai sondaggi, ogni tematica rischia di essere semplificata e ridotta a stereotipi, incluso l’ambito dell’intelligence che, privato del dibattito scientifico, diventa oggetto di discussioni superficiali”. E riferendosi al rapporto tra politica e apparati di sicurezza, ha chiarito: “rappresenta un processo sociale che richiede tempo per essere adeguatamente compreso e impiegato”.
Riguardo alla riforma dei Servizi, ha confermato che continua a essere prevalentemente “una questione culturale, con un aumento delle resistenze”. L’evoluzione sociale richiede uno sviluppo normativo per cui l’Intelligence è chiamata ad affrontare e regolare situazioni via via più complesse. Non a caso, nel nostro Paese si stanno assegnando ai Servizi compiti sempre più ampi nella salvaguardia dell’interesse nazionale minacciato, dall’interno e dall’esterno, da modalità inedite, pericolose e fluide.
Pertanto, risulta indispensabile una nuova normativa sui Servizi, più aggiornata, snella e puntuale.Perché, così come ha specificato il Prefetto Gabrielli, “la sicurezza è un bene comune che supera gli orientamenti politici e deve essere perseguita nell’interesse generale”.