Intelligence, Luca Zinzula al Master dell’Università della Calabria: “Paura in Occidente per ulteriori virus trasmissibili per via aerea”.
Rende (30.3.2024) – “Intelligence e pandemie nel XXI secolo” è il titolo della lezione di Luca Zinzula, virologo che ha già fatto ricerca presso il Max Planck Institute of Biochemistry dì Monaco di Baviera e che oggi è research associate professor presso la ShanghaiTech University, tenuta al Master di Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Zinzula ha esordito sottolineando il legame profondo tra l’intelligence, intesa sia come ambito disciplinare, sia come insieme di agenzie governative deputate alla raccolta informativa a tutela della sicurezza degli Stati, e le pandemie, considerate non soltanto come emergenze sanitarie globali ma anche come minacce di tipo securitario.
Sottolineando il ruolo della moderna intelligence nel contrastare la minaccia pandemica, Zinzula ha delineato le diverse e più moderne accezioni di quelle branche della disciplina che sono orientate alla raccolta e all’analisi delle informazioni per mitigare i rischi sanitari, segnando un cambiamento di paradigma rispetto all’esigenza informativa verso minacce più convenzionali.
Tra queste branche figurano ad esempio la Medical Intelligence (MEDINT), tradizionalmente associata all’ambito militare, la CBNR Intelligence, riferita all’utilizzo di agenti biologici da parte di attori ostili in scenari di conflittualità, e l’Epidemic Intelligence, in uso presso le agenzie di sanità pubblica per il monitoraggio globale delle malattie infettive. In merito a tale distinzione, che mantiene oggi un valore puramente dottrinale, il docente ha rimarcato come le minacce biologiche odierne alla sicurezza nazionale sfuggano ad ogni tentativo di rigida classificazione, e come il contrasto ad esse richieda un’attività di intelligence integrata, che si avvalga di un approccio multidisciplinare attingendo alle risorse di altre branche collaterali, quali l’Open Source Intelligence (OSINT), la sua sotto-branca Social Media Intelligence (SOCMINT) e la Cyber Intelligence, solo per citarne alcune.
Descrivendo la congiuntura degli eventi che a partire da un focolaio di polmonite virale in una metropoli asiatica hanno condotto alla pandemia Covid 19, Zinzula ha evidenziato come per la prima volta il fenomeno sia stato percepito globalmente come minaccia securitaria oltre che emergenza sanitaria, e ha sottolineando anche come, a fronte di una letalità del virus relativamente bassa associata però a un forte potere incapacitante, la contagiosità di SARS-CoV-2 e la sua trasmissione silente in modo spesso asintomatico e attraverso un ampio spettro di specie, oltre alla rapida evoluzione in nuove varianti, abbiano giocato – in chiaro parallelismo militare con le armi stealth – un ruolo chiave nella compromissione della capacità di risposta e contenimento da parte degli Stati, cambiando per sempre la tradizionale concezione di minaccia biologica alla sicurezza nazionale relativa a un patogeno altamente virulento.
Il docente ha puntualizzato come, prima della pandemia Covid-19, nei documenti strategici redatti dalla comunità di intelligence, le potenziali minacce di natura infettiva alla sicurezza nazionale erano menzionate di rado e per lo più associate alla deliberata disseminazione di agenti infettivi da parte di attori ostili, contemplando solo marginalmente il rischio rappresentato dall’insorgenza naturale di epidemie e dalla loro degenerazione in pandemie.
Il cambiamento è stato così brutale che nei documenti più recenti l’intelligence USA ha posto il Covid-19 o una pandemia causata da un nuovo virus in cima alla lista di minacce alla sicurezza nazionale per cui è prioritaria l’esigenza informativa, addirittura prima del cambiamento climatico, della minaccia cibernetica e del terrorismo internazionale.
Appunto per questo – ha rilevato Zinzula – è auspicabile che l’intelligence si occupi dei virus pandemici per opportunità non solo tattico-operative, nel corso di una pandemia o nella sua imminenza, ma anche e soprattutto strategiche, nel lungo periodo che precede l’insorgenza di nuovi patogeni, e questo per scongiurare un possibile nuovo fallimento. Infatti, secondo alcuni, il Covid-19 ha evidenziato i limiti dell’intelligence, la quale può anche avere una grande accuratezza nell’analisi e capacità predittiva, ma esaurisce il suo compito nella consegna al decisore politico del prodotto informativo, senza nessuna garanzia che le valutazioni vengano recepite nella direzione voluta e spesso senza che altri comparti, come ad esempio quello sanitario, ne conoscano per tempo il contenuto ai fini di un’azione di risposta sinergica.
Il docente ha inoltre sviluppato i concetti di biodifesa e biosicurezza che coprono lo spettro di tutti i possibili rischi biologici oggetto dell’attività di epidemic, medical, CBNR e disease intelligence.
In relazione allo specifico ciclo di intelligence che dalla raccolta dei dati e loro processamento in informazioni porta alla formulazione di un prodotto analitico, Zinzula ha puntualizzato le diverse metodologie disciplinari orientate alle malattie infettive e alle minacce biologiche in una prospettiva di tipo tattico, operativo e strategico sul piano sia dello spazio geografico, sia dell’arco temporale.
Indicando alcune delle piattaforme di OSINT maggiormente in uso in questo campo, tra cui spicca iniziative quali l’americana HealthMap, la canadese BlueDot o l’Epidemic Intelligence from Open Sources (EIOS) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il docente ha delineato gli indicatori di massimo interesse, tracciando una correlazione tra i virus che rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale e i paesi sottoposti a un forte degrado ambientale sovrapposto a situazioni di crisi umanitarie e securitarie.
Conflitti, densità di popolazione, cambiamenti climatici, degrado dell’habitat derivante da deforestazione e attività estrattiva, traffico illegale di animali selvatici appartenenti a specie serbatoio di virus altamente patogeni, per Zinzula costituiscono potenziali fattori di proliferazione di virus connessi a fenomeni epidemici e alla loro potenziale degenerazione in pandemie.
Preoccupano, inoltre, le attività di ricerca scientifica finalizzate alla scoperta di nuovi virus in natura e al loro studio in laboratorio, che, seppur con motivazioni del tutto legittime, non sono esenti dai rischi di un rilascio accidentale dei patogeni derivante da errore umano o inadeguati livelli di sicurezza. Un problema, questo, esacerbato dalla proliferazione in epoca post-Covid 19 di laboratori ad alto biocontenimento in luoghi di paesi in via di sviluppo caratterizzati da alta densità abitativa e contigui ad aree potenzialmente suscettibili di crisi geopolitiche.
Il docente ha poi evidenziato come la minaccia derivante dai virus altamente patogeni a propensione pandemica non riguardi solo la sicurezza sanitaria degli individui, bensì anche quella degli allevamenti e delle colture, e come sia importante considerare che un patogeno virale possa penetrare nella popolazione umana a partire dalla catena alimentare. Ipotesi, questa, peraltro sostanziata dall’attuale circolazione del ceppo di influenza aviaria altamente patogenico H5N1 che, a partire dagli uccelli selvatici, ha infettato di recente diverse specie di volatili domestici e di mammiferi.
Il docente ha dunque descritto come dall’analisi della letteratura scientifica dell’ultimo decennio traspaia una “paura inconfessata”, in ambito sia sanitario che securitario, dell’insorgenza – per evoluzione naturale o manipolazione genetica – di un virus emorragico a trasmissione aerea. Eventualità questa che, per quanto altamente improbabile, rappresenterebbe il peggiore fra gli scenari ipotizzabili.
Zinzula ha infine concluso sintetizzando che le pandemie non rappresentano più soltanto un problema di sanità pubblica, ma devono essere considerate una minaccia alla sicurezza nazionale, indipendentemente dal fatto che siano originate dal rilascio accidentale dei patogeni o dal loro passaggio alla popolazione umana per fenomeni naturali di salto di specie.
Appunto per questo, le procedure e i metodi della comunità d’intelligence devono essere parte integrante del monitoraggio in ambito epidemiologico, orientato all’acquisizione di una consapevolezza situazionale in tempo reale, sia per il comparto sanitario che per quello securitario-informativo.
In definitiva, l’intelligence istituzionale dovrà con sempre maggiore attenzione monitorare continuamente gli indicatori che possono favorire o l’emersione di nuovi virus in tutto il mondo, o la genesi di focolai epidemici causati da quelli già noti e circolanti, rendendo efficiente l’attività di prevenzione e scongiurando l’insorgenza di fenomeni pandemici fuori controllo.