Intelligence, Sabrina Martucci al Master dell’Università della Calabria: “La deradicalizzazione può diventare una necessità sociale, mentre il terrorismo diventa un’immensa area di mezzo per la diaspora della cultura del terrore”.
“La deradicalizzazione: il contesto culturale ” è stato il tema trattato da Sabrina Martucci, direttore del Master in “Terrorismo, prevenzione della radicalizzazione eversiva, sicurezza e cybersecurity” dell’Università “Aldo Moro” di Bari al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Martucci ha evidenziato che per quanto possa sembrare elementare, non è semplice comprendere e definire i concetti di ‘radicalizzazione’ e ‘deradicalizzazione’. L’assenza di definizioni condivise è causata dalle numerose influenze sociali e politiche che ne alimentano e determinano l’interpretazione, spesso orientata dai media.
Parliamo di radicalizzazione “eversiva”, solo quando ci riferiamo all’insieme di atteggiamenti che portano a comportamenti violenti, che possono muovere da sentimenti di ribellione e aggressività.
Bisogna però fare attenzione, perché la radicalizzazione non costituisce di per sé un reato.
Le Carte costituzionali e internazionali, in nome del diritto di libertà religiosa, garantiscono l’adesione radicale ad un credo. Nel momento in cui questo specifico atteggiamento fondamentalistico vira alla violenza e può compromettere la sicurezza nazionale e sociale, rileva come radicalizzazione eversiva. Si giustificano così interventi preventivi.
In questa seconda fase, entra in campo il processo di deradicalizzazione. Martucci ha spiegato che parlare di deradicalizzazione significa trattare un argomento ampio e, per questo, estremamente delicato che richiede figure di operatori altamente preparati, conoscitori di tutti gli aspetti connessi ai fenomeni del terrorismo e della radicalizzazione. Aspetto fondamentale è che il Team che lavora in deradicalizzazione sia eterogeneo perché sono importanti le competenze multidisciplinari di ogni membro.
La deradicalizzazione si articola in programmi complessi, a fasi metodologia diversificati anche per gli specifici obiettivi.
La docente, esperta di spicco nel settore, impegnata a diversi livelli teorici e operativi, ha sottolineato il rilievo di questo processo.
La deradicalizzazione non è una pratica di deprogrammazione mentale; deve avere una “postura di legittimità”, per cui occorre che i programmi siano conformi allo stato di diritto.
Questo porta a comprendere che la radicalizzazione, il terrorismo e la deradicalizzazione sono processi interconnessi.
La docente si ha descritto il suo approccio metodologico per la deradicalizzazione, che si basa su una metodologia che ha chiamato “5W”: who, what, where, when e why (chi, come, dove, quando e perché), utile ad individuare requisiti, ambiti e soggetti e fare della deradicalizzazione un percorso legittimo.
Quest’ultimo è appunto caratterizzato da diverse fasi: l’analisi della tipologia di radicalizzazione, il confronto tra sistemi italiani e internazionali, l’applicazione dei parametri generali al caso di specie, la sistematizzazione del programma, l’aggiornamento regolare delle attività e la stesura di un rapporti e relazioni periodici e finali.
Questa metodologia, segue alcune traiettorie: complessità, contestualizzazione, consapevolezza e resilienza.
Tra queste ha dettagliatamente descritto la complessità del fenomeno della radicalizzazione, che investe la comprensione della radice culturale della scelta su cui impattano fattori variabili che vanno da quelli geopolitici, a quelli entico-religiosi, economici locali, regionali non meno di quelli individuali. Tra gli altri aspetti individuati, la disinformazione come fattore di spinata e la manipolazione dei discorsi religiosi politici alla base della formazione dei radicalizzati eversivi e al centro delle azioni di contro-narrazione e depotenziamento della minaccia.
La contestualizzazione è poi un secondo aspetto da considerare in vista di soluzioni a lungo termine che siano legittime e che salvaguardino la sovranità di ogni Stato, che dimostrino di unire gli interessi nazionali e globali nella lotta al terrorismo.
Questi programmi avranno delle finalità precise (disingaggio, depotenziamento, riabilitazione, integrazione), non sono facilmente mutuabili o esportabili e verranno collocati nell’ambito delle regole dello stato di diritto e della cultura dei vari Paesi.
Infine, Martucci ha ricordato che tale approccio favorisce la consapevolezza e la resilienza verso un problema sempre più complesso e urgente. Siamo ha detto “in un radicalization game changer che subisce l’impatto dei fattori geopolitici internazionali, delle guerre, del climate change, dell’human trafficking … e così via. La deradicalizzazione dovrà affrontare i cambiamenti della radicalizzazione mentre si compie e consuma un’osmosi costante tra i differenti Brand eversivi fondata sull’ibridazione transnazionale della cultura radicale del terrore”