INTELLIGENCE, SABRINA MARTUCCI AL MASTER DELL’UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA: “LA DERADICALIZZAZIONE SI FA COSTRUENDO DIALOGHI E COMPRENSIONE RECIPROCA”.
Rende (24.1.2025) – La deradicalizzazione: il contesto culturale è il titolo della lezione tenuta da Sabrina Martucci, coordinatrice del Master in Terrorismo, prevenzione della radicalizzazione eversiva, sicurezza e cybersecurity dell’Università “Aldo Moro” di Bari al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Martucci ha introdotto la lezione richiamando le parole pronunciate alla Camera dei Deputati nel 2018 dal Generale di Corpo d’Armata Franco Monticone (1940-2022), Comandante del 9º Battaglione d’assalto paracadutisti “Col Moschin” e della Brigata paracadutisti “Folgore”, che nel 1978 ebbe l’incarico di creare e addestrare quella che in Italia fu una tra le prime Unità di Intervento Speciale (UNIS) dedicata al controterrorismo.
“La motivazione, giusta o sbagliata, lecita o illecita è il fattore che sostanzia la preparazione tecnica e tattica di soldati di eccezione, ma anche dei terroristi. La pericolosità di questi ultimi sta nel fatto che, come i primi, credono in quello che fanno”. Questa premessa ha stimolato un’analisi approfondita sull’evoluzione dei fenomeni di radicalizzazione, spesso percepiti come minacce alla sicurezza piuttosto che come questioni trasversali che investono aspetti culturali e sociali.
La loro natura dinamica e mutevole richiede, infatti, un approccio analitico multidisciplinare e multilivello, poiché essere radicali non equivale a essere terroristi, sebbene i due termini sembrino sovrapponibili.
In premessa, la docente ha precisato che, a suo parere, non dovremmo più usare il termine “deradicalizzazione”, se non per rapidità o simmetria linguistica, in quanto i processi di disingaggio dalle ideologie violente e depotenziamento dalla pericolosità sociale dei soggetti radicalizzati sono diversificabili e molto complessi.
Ha aggiunto che chi si occupa di deradicalizzazione deve essere altamente qualificato e in grado di discernere il pensiero radicale espresso come diritto alla adesione fondamentalistica ad una ideologia, di qualsiasi natura, dalle condotte illegali.
In questo modo, la radicalizzazione rappresenta una libera adesione a idee estreme fino al punto in cui quest’ultime non superano il confine della legalità, traducendosi in atti o condotte violente di minaccia alla sicurezza nazionale.
È stato anche evidenziato come il terrorismo contemporaneo sia profondamente mutato negli ultimi decenni.
Fino al 7 ottobre 2023, data che ha segnato una cesura profonda nel conflitto in medio orientale, il focus prioritario delle azioni di deradicalizzazione era il contrasto al cosiddetto jihadismo violento. Il panorama attuale è, invece, segnato da fenomeni frammentati e imprevedibili, che animano e attivano lupi solitari o reti informali di ispirazione jihadista, suprematista o anarchica.
Infatti, essendo cambiato il “gioco culturale delle radicalizzazioni”, sarebbe oltre modo riduttivo immaginare che gli attuali percorsi di radicalizzazione possano essere assimilati semplicemente ad un uso distorto del messaggio religioso.
Di fatto, il terrorismo non ha più una sola matrice: la docente ritiene obsoleto continuare a citare i tradizionali pull o push factors, precisa che urge identificare e analizzare tutti quei fattori che fungono da “leve di reclutamento terroristico” tra cui l’insicurezza alimentare, le migrazioni forzate e i conflitti geopolitici e per il reclutamento in contesti di instabilità la frammentazione e mancata coesione sociale.
Tale cambiamento ha inevitabilmente comportato una ridefinizione degli obiettivi e delle strategie di deradicalizzazione.
Martucci ha poi spiegato il significato di deradicalizzazione, precisando che con tale espressione non si intende un semplice processo di assimilazione culturale, né tantomeno una tecnica di deprogrammazione mentale, bensì un percorso graduale e complesso che richiede un approccio etico attagliato al singolo caso e funzionale a riconfigurare senza violare i diritti umani.
È un lavoro di tessitura – ha dichiarato la docente – che deve essere condotto con una postura di legittimità, cioè in compliance con le normative nazionali e internazionali, ponendo al centro la dignità della persona.
La metodologia proposta è strutturata su tre pilastri: formazione, analisi e azione.
Di conseguenza il percorso si sviluppa secondo una road map operativa che, sfruttando la regola delle 5 W (who, what, where, when e why), permette agli operatori dapprima di analizzare la topologia di radicalizzazione, confrontandola con i modelli nazionali e internazionali, e quindi di organizzare e monitorare con continuità tutte le fasi del processo di deradicalizzazione: identificazione del background ideologico, disingaggio dall’ideologia eversiva, depotenziamento della minaccia, riabilitazione e reintegrazione sociale.
Tale approccio non può, tuttavia, prescindere dalla multidisciplinarietà richiesta agli operatori per combinare competenze giuridiche, sociologiche, psicologiche, geopolitiche ed educative.
A seguire, è stata dedicata particolare attenzione al ruolo strategico della cooperazione interistituzionale tra operatori della deradicalizzazione, forze di polizia, analisti di intelligence e accademici.
Questa sinergia, favorita dalla legge n. 124/07, si è rivelata cruciale nelle attività di monitoraggio e intervento sui soggetti radicalizzati, sia in ambito penitenziario che in chiave preventiva.
Modelli internazionali, come il Channel Panel del Regno Unito e altri come Arus, sono stati citati come esempi virtuosi, con l’avvertenza che tali approcci necessitano di essere adattati alle specificità culturali e normative del contesto italiano.
Un approfondimento altrettanto significativo è stato riservato a due particolari tipologie di deradicalizzazione.
La prima riguarda i minori, particolarmente vulnerabili alle manipolazioni esercitate nei contesti geopolitici di crisi, come in Sahel, o nel resto del mondo attraverso le piattaforme digitali, dove i “pifferai magici” della radicalizzazione fanno ricorso a sofisticate tecniche di propaganda. In questi casi, è fondamentale potenziare le capacità di resilienza tramite l’implementazione dei programmi educativi con mirati interventi di prevenzione volti anche al monitoraggio delle reti digitali.
La seconda attiene all’ambito carcerario, dove il sistema italiano offre opportunità uniche grazie alla stretta collaborazione tra istituzioni, all’ampliamento dei poteri investigativi affidati alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e alla possibilità di integrare misure di prevenzione con programmi riabilitativi.
Questo approccio integrato rappresenta un modello innovativo per affrontare le sfide poste dalla radicalizzazione nel contesti italiano.
Nel concludere la lezione, Martucci ha ribadito l’importanza della formazione e della consapevolezza: “Chi opera nel campo della deradicalizzazione deve essere un tessitore di prevenzione, capace di intrecciare dialoghi e costruire ponti tra comunità divise”. Solo attraverso un lavoro paziente e interdisciplinare, capace di coniugare diritti umani e sicurezza, è possibile affrontare le sfide poste dal terrorismo e dalla radicalizzazione contemporanea.