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Julian Assange e la società della disinformazione: il commento di Caligiuri

La liberazione di Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, segna una tappa significativa in una battaglia legale durata dodici anni.

Centrale in questa vicenda è stata Stella Assange, avvocato specializzato in diritti umani e moglie di Julian.

Durante il Wired Next Fest 2024, tenutosi a Milano nei giorni scorsi, Stella ha definito il caso “il più pericoloso attacco alla libertà di stampa a livello globale” e descritto la lotta contro l’estradizione dal Regno Unito agli Stati Uniti, evidenziando le severe condizioni di detenzione nel carcere di Belmarsh e i rischi per la salute di Julian.

Stella Assange ha messo in rilievo il crescente supporto internazionale, citando l’Italia come esempio di mobilitazione efficace. Ha, inoltre, sottolineato come l’azione dei movimenti di base in Australia abbia spinto il primo ministro Anthony Albanese a cercare una soluzione diplomatica.

La vicenda solleva questioni cruciali sul rapporto tra sicurezza nazionale e libertà di informazione, nonché sul ruolo del giornalismo investigativo nell’era digitale

Mario Caligiuri e Stella Assange al #WNF24

Per Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) e direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, Julian Assange ha dimostrato che la realtà e la percezione pubblica della realtà sono spesso discordanti. Questo accade perché l’eccesso di informazione, unito al basso livello di istruzione sostanziale dei cittadini, crea un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione della realtà. In particolare, Assange ha rivelato – attraverso migliaia di comunicazioni pubblicate da WikiLeaks – che le dichiarazioni dei governi non sempre coincidono con le loro reali attività. Questo mette in evidenza come uno dei principali e più dannosi vettori di disinformazione non siano le fake news, ma la comunicazione istituzionale degli Stati e quella commerciale delle multinazionali, come anticipato nel 1993 da Regis Debray nel suo fondamentale testo Lo Stato seduttore”.

Una manipolazione sottile ma potente che riduce il discorso politico a slogan rendendo il concetto di verità sempre più sfuggente.

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