Intelligence, Luciano Romito al Master dell’Università della Calabria: “La linguistica forense è al servizio dell’intelligence”
Rende (8.3.2022) – Luciano Romito, Direttore del Laboratorio di Fonetica dell’Università della Calabria, ha tenuto una lezione dal titolo: “La linguistica forense nei processi di intelligence”, durante il Master in Intelligence dell’ateneo di Arcavacata, diretto da Mario Caligiuri.
Romito ha esordito definendo la linguistica forense come lo studio scientifico della lingua e del parlato in ambito giudiziario. Tale disciplina di grande interesse e utilità sociale, purtroppo è largamente trascurata dalle istituzioni.
Il professore ha detto che per svolgere questa funzione delicatissima occorrono competenze trasversali e approfondite, poichè incide sui diritti inalienabili delle persone. Nello stesso tempo ha ricordato che, da una ricerca pubblicata, risulta che solo il 53% dei periti possiede la laurea come titolo di studio e addirittura il 5% possiede solo il titolo della scuola elementare.
Si pensi – ha ribadito – che, ad oggi, manca ancora un albo di esperti linguistici e specifici percorsi formativi. La linguistica forense si occupa di tutto ciò che è scritto o parlato nei procedimenti giudiziari. “In particolare – ha proseguito – la linguistica si occupa di testi scritti, analisi di testo; il profilo psicologico di chi scrive e si occupa di autenticare o attribuire un testo all’autore; e infine la fonetica forense approfondisce la lingua parlata e come risalire alla voce dell’autore. Infatti, la voce non è fatta solo dalle singole parole ma anche dalle intenzioni, dalle emozioni, con suoni che rilassano e suoni che eccitano”.
“La Cassazione – secondo il docente – ha espresso un’interpretazione riduttiva sostenendo che il parlato è fatto solo di grafici, simboli e parole. E’ invece fondamentale capire come funziona la lingua”.
Romito ha poi ricordato che la linguistica forense nasce in Europa, con la prima ricerca che risale al 1930, mentre la disciplina si espande successivamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ampliandosi nel corso del tempo.
Per esempio, il caso Unabomber è stato risolto attraverso l’identificazione avvenuta in base all’analisi linguistica di un articolo.
Il professore ha ribadito che “l’associazione internazionale IAFPA invita a diffidare dall’utilizzo delle tecniche “Voice Print” poiché sono ad alta probabilità di errore: si pensi che in Italia l’11% delle perizie avviene mediante questa tecnica”.
“Esistono – ha precisato – associazioni, metodi e discipline ma manca il contatto con la realtà, cioè con le istituzioni. Il ministero, ad esempio, nelle commissioni per il finanziamento della ricerca, si avvale di glottologi, che approfondiscono le scienze dell’antichità”.
Romito ha quindi approfondito il tema delle registrazioni, precisando che si può intendere come registrazione integrale quella che riguarda tutte le parole, ma dovrebbe registrare anche il respiro e le pause, per cui nelle trascrizioni andrebbe evidenziato anche il vuoto che è la chiave di lettura delle conversazioni.
Il docente ha poi parlato di “malapropismo”, evidenziando che il cervello ricostruisce a livello inconscio una parte del segnale in base a quello che pensa. Pertanto, è molto condizionato dai bias cognitivi, cioè dai pregiudizi che condizionano i processi mentali di ciascuno di noi e che dipendono da una molteplicità di fattori.
Romito ha quindi ricordato le ingenti spese sostenute per le trascrizioni che vengono riportate in formati molto differenti. Infatti – ha affermato – che comprimere un segnale significa togliere informazioni che invece possono essere utilissime, poichè in alcuni casi si puó perdere anche il 90% delle informazioni.
“L’audio – ha sottolineato – è attendibile solo se ha alcune caratteristiche minime. In pochissimi anni si sono sviluppate tecnologie sempre più potenti ma la digitalizzazione presenta diverse modalità operative a seconda dei Tribunali. Le intercettazioni, inoltre, vengono appaltate a società private ognuna delle quali utilizza tecniche proprie”.
Ricordando cosa sia l’impronta digitale, ha ribadito che il linguaggio serve per “esprimersi”, ma soprattutto per “fare” e quindi nell’analisi della conversazione è possibile stabilire i ruoli di potere che hanno le singole persone. Infatti, identificare il parlante significa compiere un’analisi sintattica, fonetica e della voce che non è una prova ideale, però è un indizio. Ci sono, poi, errori di false attestazioni e false attribuzioni. E questo perchè esistono tanti metodi. Per esempio, l’analisi della retina è autentica al 100%, le impronte digitali hanno un margine di errore dello 0,001%, mentre la voce naturale dell’1%.
Il docente ha evidenziato che “le corde vocali sono differenti da una persona all’altra, per cui sono state definite delle tecniche per arrivare alla verosimiglianza, che è la stessa tecnica per identificare il DNA, quindi è una statistica decisionale, dove la probabilità di errore è molto bassa”.
“Gli studi – ha concluso Romito – stanno costruendo un approccio scientifico della linguistica forense, mentre lo Stato sia con le leggi che con le sentenze sta andando in direzione opposta”.
Comunicato stampa trasmesso dalla Direzione del Master in Intelligence dell’Università della Calabria.
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