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Pensare con il corpo, “un regalo sacro”

L’intelligenza artificiale (IA) sta emergendo come una forza trasformativa, integrandosi rapidamente nelle nostre vite.

Secondo Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) e direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, ci troviamo di fronte a quella che potrebbe essere definita una “metamorfosi del mondo”, un cambiamento così radicale che – come il docente sottolinea nel suo più recente articolo, apparso su Il Sole 24Ore“nulla potrà essere più come prima”. Questa trasformazione rappresenta una transizione nella natura stessa dell’esperienza umana.

La sfida principale che emerge da questo “salto di specie” è l’inadeguatezza degli strumenti: “stiamo usando parole, categorie mentali, concetti culturali e teorie giuridiche di un mondo in via di estinzione”, e questo appare ancor più evidente nei tentativi di regolamentazione dell’IA. L’Unione Europea ha cercato di stabilire regole per governarne lo sviluppo e l’uso, ma gli sforzi – per quanto necessari – rischiano di essere annientati dalla velocità del progresso tecnologico. Come si può normare un fenomeno che “cambia in maniera rapidissima” con strumenti legislativi che sono, per loro natura, rigidi e lenti ad adattarsi? La necessità di sviluppare nuove categorie mentali e approcci normativi più flessibili e adattivi è quindi imperativa. Dobbiamo ripensare non solo le nostre leggi, ma anche il nostro modo di concepire l’intelligenza, la coscienza e l’identità umana in un’era in cui i confini tra umano e artificiale diventano sempre più sfumati.

Al centro di questa rivoluzione Caligiuri colloca la “battaglia delle intelligenze”: lo scontro tra intelligenza umana e artificiale, “il tema più controverso e aperto del nostro tempo”, con teorie che fluttuano dall’impossibilità per l’IA di superare l’intelligenza umana, sostenuta da Federico Faggin, alla possibilità per le macchine di simulare la coscienza ipotizzata da Alan Turing.

La realtà attuale sembra suggerire che, in alcuni ambiti specifici come la diagnostica medica, l’IA stia già dimostrando capacità superiori a quelle umane. Gli studi, citati da Caligiuri, indicano che un algoritmo può raggiungere un’accuratezza diagnostica superiore al 90%, mentre un medico in carne e ossa sfiora appena il 50%. Dati che sollevano questioni etiche sostanziali: come bilanciare efficienza e accuratezza dell’IA mantenendo il controllo umano in ambiti tanto delicati?

Una possibile risposta a questa sfida è l’ibridazione uomo-macchina.

Kevin Kelly, citato da Caligiuri nel suo articolo, parla di una ibridazione “inevitabile”, un futuro in cui le capacità umane saranno potenziate attraverso le tecnologie. Questa prospettiva è supportata da progetti come l’AugCog (Augmented Cognition) del DARPA, che ha ampiamente dimostrato come l’interazione tra il cervello umano e IA possa aumentare le facoltà cognitive di oltre un terzo.

Micrografia a luce polarizzata di cristalli di ossitocina.
ALFRED PASIEKA/SCIENCE PHOTO LIBRARY

Caligiuri introduce una prospettiva controversa: l’uso di sostanze psicoattive come potenziale mezzo per “estendere le capacità della mente”. Questa proposta, per quanto eticamente problematica, solleva interrogativi sulla natura dell’enhancement e sui limiti che siamo disposti a superare nella ricerca del potenziamento cognitivo.

Il concetto enhancement – traducibile come miglioramento o potenziamento– scuote le fondamenta della nostra identità poichè ci pone una domanda ineludibile: cosa significa essere umani?

C’è il rischio, “nell’ammaestrare” le nostre capacità fisiche e mentali, di perdere ciò che ci rende più distintamente umani: la nostra fragilità e imperfezione. Da un lato, il potenziamento cognitivo e fisico promette di espandere le capacità umane in modi finora inimmaginabili. Dall’altro, i rischi – per la privacy, l’autonomia e l’integrità psicologica degli individui – richiedono una riflessione attenta e la definizione di nuovi paradigmi etici.

Le aree di ricerca dovranno concentrarsi non solo sullo sviluppo tecnologico, ma anche sulla comprensione delle implicazioni psicologiche/sociali dell’enhancement e sullo sviluppo di metodi per garantire che queste tecnologie non creino nuove e insormontabili disuguaglianze e frustrazioni.

Caligiuri ci ricorda la singolarità dell’intelligenza umana, ovvero la natura incarnata del pensiero: “noi non pensiamo solo con il cervello ma con tutto il corpo”. Una frontiera che l’IA, almeno nella sua forma attuale, non può varcare.

Albert Einstein riteneva la mente intuitiva “un regalo sacro” e la mente razionale “un servitore fedele”. E aggiungeva “Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il regalo”.

Se è vero, come è vero, che siamo lontani dal comprendere l’origine del pensiero o la sede della coscienza, abbiamo però iniziato a capire i meccanismi della nostra memoria, da dove vengono i sogni, le basi del funzionamento delle reti neurali e sappiamo che il cervello può cambiare e arricchirsi. Come scrive il neuroscienziato indiano Vilayanur S. Ramachandran – tra i massimi esperti della struttura del cervello e dei meccanismi di funzionamento della mente- qualunque scimmia può tendere la mano verso una banana, ma solo l’uomo può tenderla verso le stelle.

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