Sufismo e Islamismo, tra mistica e potere
Nel paper, edito da SOCINT PRESS, Francesco Alfonso Leccese esplora la relazione tra Sufismo e Islamismo, analizzando come la mistica sufi, tradizionalmente definita apolitica, abbia influenzato movimenti di resistenza e strategie di sopravvivenza nel mondo islamico.
Si intitola Sufismo e Islamismo lo studio di Francesco Alfonso Leccese, professore associato di Storia dei Paesi Islamici all’Università della Calabria – edito da SOCINT PRESS, portale editoriale della Società Italiana di Intelligence diretto da Alice Felli.
Il paper si apre con un inquadramento del Sufismo ( تصوّف aṣawwuf) – dimensione mistica e fenomeno sociale dell’Islam – mettendo in luce come, sebbene orientato all’elevazione spirituale, esso abbia profondamente inciso nella vita politica. A partire dal XIII secolo, le confraternite islamiche (طُرُق, ṭuruq) non solo hanno irrobustito l’organizzazione pubblica e religiosa del mondo islamico, ma in alcuni momenti e contesti hanno rivestito ruoli di rilievo nelle relazioni con il potere. Nel corso dell’Impero Ottomano, ad esempio, le istituzioni sufi sono state integrate nell’ortodossia religiosa, contribuendo all’espansione e alla stabilizzazione della società. Questo rapporto di interdipendenza con l’autorità politica varia a seconda dei contesti e rappresenta un elemento di adattabilità, che ha permesso al Sufismo di sopravvivere e potenziarsi anche in periodi di forte repressione.
Uno dei contributi più originali del saggio è l’analisi del Sufismo come forza di resistenza al colonialismo. Leccese prende le distanze dai resoconti accademici, smentendo il concetto di “neo-sufismo” come reazione al colonialismo, consigliando una rilettura storica: la resistenza sufi si è distinta per la capacità delle confraternite di organizzarsi in difesa dei propri territori senza annichilire le identità locali. Figure come l’emiro algerino Abd el-Kàder (عبدالقادر الجزائري, ʿAbd al-Qādir al-Jazāʾirī,) e l’Imam caucasico Shamil (Шейх Шамил), dimostrano come il Sufismo abbia capitanato movimenti di opposizione al dominio coloniale in aree dove lo Jihād (جهاد ǧihād ) era avvertito come la sola forma di protezione identitaria e religiosa. Questo ruolo di “islamizzazione militante” ante-litteram evidenzia una dimensione operativa e collettiva del Sufismo che sfida la definizione di “spiritualità apolitica” comunemente attribuitale.
L’analisi comparativa tra sufismo e islamismo costituisce il nucleo centrale dell’opera. Leccese si sofferma sulla divergenza ideologica tra i due movimenti, chiarendo come l’Islamismo rappresenti una reinterpretazione dell’Islam, in cui il credo religioso è stato adattato a ideologia totalizzante, volta a rappresentare la grande religione monoteistica fondata da Maometto come sistema politico integrale. Al contrario, il Sufismo si concentra sull’aspirazione all’elevazione spirituale individuale, mantenendo la politica sullo sfondo. Uno scontro ideologico che appare in tutta la sua vitalità nei Fratelli Musulmani (الإخوان المسلمون al-Iḫwān al-Muslimūn) movimento che inizialmente adottò strutture e terminologie del Sufismo, per poi orientarsi verso la dottrina wahhabita, condannando come “innovazioni riprovevoli” alcuni atti devozionali (ذکر dhikr) e il culto dei santi.
Altro spunto interessante, è l’influenza della critica coloniale sul pensiero riformista islamico. Orientalisti occidentali, come Ernest Renan, etichettavano il Sufismo come “residuo” medievale, colpevole del ritardo culturale del mondo islamico. In linea con questo pensiero, gli intellettuali musulmani riformisti, tra cui Muhammad ‘Abduh ( محمد عبده) e Rashid Rida (محمد رشيد رضاMuḥammad Rashīd Riḍā), introiettarono questa critica promuovendo una riforma islamica (,إصلاح islah) Questa prospettiva, che fece del Sufismo un capro espiatorio cui addossare l’arretratezza delle società islamiche, legittimò un’islamizzazione coercitiva della società, incentrata su una visione compatta e politicamente attiva dell’Islam.
Il paper si conclude con la riflessione sul ruolo delle confraternite sufi nel panorama geopolitico moderno e, in particolare, sull’approccio quietista e la collaborazione col potere come strategia di sopravvivenza. Le confraternite sufi hanno evitato l’organizzazione in partiti politici, assumendo una posizione sfuggente nei confronti dello Stato, come nel caso della confraternita Budshishiyya in Marocco, che ha trovato il proprio spazio all’interno delle istituzioni. Tuttavia, Leccese evidenzia anche casi come quello della Turchia contemporanea, dove la confraternita Naqshbandiyya ha abbracciato le linee guida del governo Erdoğan, assumendo un ruolo autorevole sul piano sociale. Questo aspetto suggerisce una metamorfosi in atto: il Sufismo come potenziale attore politico, in grado di confrontarsi con l’islamismo e, allo stesso tempo, di mantenersi autonomo.
Sufismo e Islamismo fornisce strumenti analitici di grande utilità per chi opera nel campo dell’intelligence e della geopolitica. L’approccio di Francesco Alfonso Leccese è oggettivo e critico, e offre una visione caleidoscopica delle dinamiche del mondo islamico, sfidando preconcetti e letture semplicistiche. Con una bibliografia solida e riferimenti circostanziati, l’autore presenta il Sufismo come un fenomeno tenace e complesso, capace di rispondere alle sfide della modernità e del confronto ideologico con l’Islamismo.