Covid-19: la forza microscopica che ha sfidato il mondo
Informazione e comunicazione nella prima fase pandemica da Sars-CoV-2: funzioni di Intelligence. Il lavoro di ricerca di Liuva Capezzani, pubblicato da Socint Press, analizza i fattori che potrebbero aver causato la sottovalutazione di segnali e fonti determinando la mancata previsione di una crisi sanitaria ad altissimo impatto sociale ed economico.
L’anno 2020 ha segnato l’inizio di una delle crisi sanitarie più significative del nostro tempo: la pandemia di COVID-19. Non è stata la prima, né sarà probabilmente l’ultima, ma è stata certamente una delle più veloci a manifestarsi su scala globale.
Virus molto simili, come SARS-CoV, sono stati sbaragliati rapidamente, altri, come HIV, hanno cospirato per anni. SARS-CoV-2 si è dimostrato più sfrontato, costringendo l’Italia, come molti altri Paesi, a una sfida senza precedenti.
Ne è emerso qualcosa di anomalo, nulla a che vedere con un grattacapo sanitario, che ha imposto ai grandi della terra responsabilità e postura.
Analizzando il contesto in cui il virus si è diffuso e le risposte adottate, affiorano interrogativi ai quali Liuva Capezzani, psicoterapeuta e criminologa, delegata al coordinamento delle sezioni regionali e delle commissioni di studio SOCINT, prova a rispondere nella sua tesi di Master in Intelligence, pubblicata da Socint Press, il portale editoriale della Società Italiana di Intelligence.
Il tempo dell’anomalia: dalla Sars al Covid. Cosa insegnano le pandemie?
All’inizio del 2020, mentre Wuhan è già in lockdown a causa del nuovo virus altamente trasmissibile, l’Italia sottovaluta la portata globale della minaccia. La percezione collettiva tende a considerare l’emergenza come un evento localizzato, distante e poco minaccioso.
Tuttavia, segnali e avvertimenti provenienti da varie fonti, inclusi rapporti di intelligence e di esperti, indicano la possibilità di una pandemia incombente. Indizi che rivelavano la complessità del mondo che abitiamo e delle sue logiche – sociali, politiche, economiche, ma anche interpersonali e psichiche – che fanno di questa crisi una minaccia sovraidentitaria e sovraculturale.
Il lavoro parte proprio da qui per analizzare i fattori che potrebbero aver causato una sottovalutazione di segnali e fonti e una mancata prevenzione di una crisi sanitaria ad altissimo impatto sociale ed economico.
«Non si tratta – puntualizza subito Capezzani – di un virus “uscito dal nulla” come affermato da Donald Trump. Molti erano stati i segnali e le fonti che avevano allertato circa una probabile pandemia: le manifestazioni virali e pandemiche dell’aviaria H5N1 nel 1997, della SARS nel 2003, la peste suina del 2009, le dichiarazioni del presidente George W. Bush al National Institute of Health Bethesda nel 2005, la relazione del National Intelligence Council nel 2008, il saggio Spillover di David Quammen, l’annuncio del 2014 del presidente Barak Obama, le “profezie” dell’imprenditore Bill Gates nel 2015 e 2018, le considerazioni del gruppo di transizione presidenziale americano nel 2016, il comunicato del Worldwide Threat Assessment of the US Intelligence Community nel 2019, i rapporti del Johns Hopkins Center for Health Security e del Global Preparedness Monitoring Board, il rapporto della simulazione Crimson Contagion del Dipartimento di salute e servizi umani degli Stati Unti, per finire con la relazione annuale 2019 del DIS Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Repubblica, consegnata al Parlamento nel gennaio 2020».
Fasi pandemiche, l’impatto sulla fiducia
Limitato al periodo novembre 2019-marzo 2020, il lavoro si focalizza su tre momenti critici in cui la capacità di anticipare e gestire gli eventi è mancata.
Capezzani argomenta che l’Intelligence non è caratterizzata solo da dimensioni informative, ma anche da aspetti comunicativi che riguardano sia la fase di disseminazione del ciclo dell’intelligence sia le attività comunicative dei decisori politici che pure appartengono al ciclo di Intelligence.
In merito alla fase di disseminazione Capezzani si domanda poi «se, in qualche caso, si possa ipotizzare di rivedere la divisione tra rapporto Intelligence e consulenza politica».
Nonostante esperti e Agenzie abbiano messo in guardia circa la possibile gravità della situazione, «la mancanza di una chiara e tempestiva governance della comunicazione pubblica ha pregiudicato la capacità dei cittadini di comprendere la pericolosità della situazione e adottare, conseguentemente, comportamenti preventivi per evitare l’emergenza e lo stallo che la civiltà della globalizzazione non poteva permettersi».
Intelligence: informazione o comunicazione?
Dopo aver esaminato i rapporti tra potere, informazione e comunicazione, Capezzani solleva un interrogativo: «Intelligence dell’informazione o della comunicazione?». La domanda assume rilevanza nell’ambito di una collaborazione tra cittadini, decisori politici, istituzioni e Intelligence per la costruzione partecipata della sicurezza nazionale. La questione-chiave è il bilanciamento tra segretezza e trasparenza, che riguarda l’Intelligence in un contesto democratico come quello italiano, anche alla luce della riforma della legge 124/2007.
Successivamente, l’autrice si concentra sui concetti di emergenza, stato e comunicazione di crisi, riflettendo sulla possibilità che – in condizione di emergenza globale, come quella pandemica – la comunicazione istituzionale e di crisi possa svolgere funzioni di Intelligence. Da un lato si parla, quindi, di Intelligence con funzione comunicativa, dall’altro di comunicazione istituzionale e pubblica con funzione d’Intelligence.
Capezzani si chiede se la pandemia e le minacce alla salute possano essere considerate come parte di una sfera di sicurezza o di protezione. E se la protezione e la tutela della salute debbano essere integrate nella sicurezza nazionale e, in tal caso, quale tipo di Intelligence dovrebbe intervenire.
Nel rispondere osserva che le minacce alla salute globale sono ibride, non convenzionali, e che finora non sono completamente considerate dall’Intelligence perché manca una cultura globale della sicurezza sanitaria. Auspica perciò la possibilità di una Culture Intelligence di tipo sanitario che coinvolga direttamente i cittadini, insieme a un coordinamento internazionale tra Agenzie di Intelligence ed Epidemic Intelligence e a un’intelligence territoriale.
Successivamente, il testo rappresenta e argomenta le fragilità comunicative sia nell’attività informativa Intelligence – distinguendo tra operato degli apparati statuali e dell’Epidemic Intelligence – sia nell’attività comunicativa dei decisori politici e delle istituzioni. Inoltre, analizza «l’impatto di queste debolezze sulla generazione dell’infodemia, delle narrative nazionali ed internazionali tra Stati, che hanno influito sulla reputazione nazionale, sulla coesione sociale ed economica e, di conseguenza, sulla sicurezza nazionale».
Il ruolo dei cittadini nella gestione della pandemia
In ultimo, Capezzani propone due approfondimenti: «Il primo consiste in un’intervista al giornalista Pier David Malloni, press operator presso l’Istituto Superiore di Sanità, che mette in luce le difficoltà comunicative tra gli operatori dell’Epidemic Intelligence, nazionale e internazionale, durante la pandemia. Il secondo racconta un’esperienza positiva di comunicazione istituzionale attraverso il Servizio di risposta al cittadino e di pubblica utilità 1500, attivato dal Ministero della Salute». Sottolinea, inoltre, il ruolo della fiducia, costruita tra cittadini e istituzioni, attraverso questa collaborazione che ha contribuito sia alla sicurezza nazionale sia alla promozione di una politica democratica fondata sulla consapevolezza dei cittadini e sulla responsabilità delle élite.
Pertanto, se il potere democratico si esplica attraverso la comunicazione, allora si può parlare di un’Intelligence collettiva e partecipativa della cittadinanza e di una Intelligence della comunicazione, anche se non completamente sovrapponibile all’attività tradizionale dei Servizi d’Intelligence.
Lezioni apprese e sfide non affrontate
Il virus da SARS-CoV-2 ha colto impreparati tutti gli Stati rivelando e aggravando la già presente società della disinformazione.
La questione rimanda a un possibile fallimento dell’Intelligence – globale, particolare o di entrambe – con un focus sull’importanza della HUMINT Human Intelligence e del coordinamento tra le agenzie sanitarie nazionali e internazionali.
Capezzani ipotizza anche un possibile insuccesso nei processi di ascolto e disseminazione delle informazioni tra l’Intelligence e i decisori politici. Le carenze comunicative e informative hanno portato alla diffusione di informazioni non attendibili e alla creazione di narrazioni propagandistiche che hanno minato la fiducia nelle istituzioni e aumentato le disuguaglianze sociali.
«La comunicazione non si improvvisa – sottolinea l’autrice – . Anche nell’attività istituzionale e dell’Epidemic Intelligence occorre più attenzione e formazione ai fattori comunicativi. Esigenza che diventa urgenza educativa nei confronti dei giovani».
Il testo, riprendendo un articolo di Mario Caligiuri del maggio 2020, sottolinea che la comunicazione dei decisori politici e delle istituzioni «deve essere oggetto di continua formazione e revisione» e invita a un «ruolo più attivo degli esperti di sicurezza nazionale» perché la comunicazione, in tempo di crisi, è un diritto e una profilassi essenziale.
La pandemia di Covid-19 ci offre, in fondo, anche un’opportunità di miglioramento, un’occasione per riflettere su come siamo arrivati a tanto, come avremmo potuto evitarlo e come rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari e delle istituzioni per renderli capaci di proteggere la salute delle persone e garantire una risposta più efficace e coordinata alle future minacce alla sicurezza nazionale e globale.
E a tal proposito, nel concludere Capezzani ricorda quanto scriveva Robert D. Steele: “Una buona intelligence non serve in presenza di una cattiva politica”.