INTELLIGENCE, FRANCO GABRIELLI AL MASTER DELL’UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA: “OCCORRE SVILUPPARE UN’INTELLIGENCE CULTURALMENTE AUTONOMA DAGLI ALTRI POTERI”
Rende (11.12.2024). I servizi d’Intelligence in Italia nel XXI secolo è il titolo della lezione tenuta dal prefetto Franco Gabrielli, Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica nel governo Draghi, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.
Gabrielli ha iniziato presentando l’espressione brain rot, “marciume del cervello” – parola dell’anno 2024 secondo l’Oxford Dictionary – che descrive la società nell’era digitale, costellata da “contenuti online di bassa qualità”. Un termine che arriva da lontano: fu usato, infatti, per la prima volta, nel 1854 da Henry David Thoreau. Nella parte finale dell’opera Walden – resoconto di due anni di vita trascorsi in solitudine nei boschi del Massachusetts – l’autore critica la tendenza della società a svalutare le idee complesse, o quelle che possono essere interpretate in più modi, a favore di quelle semplici, segnalando un declino generale dello sforzo mentale e intellettuale.
Oggi più che mai, ha precisato Gabrielli, si è portati a ricercare la “rassicurazione” anziché sviluppare un approccio intelligente per comprendere le realtà che ci circondano. Occorre, quindi, superare l’atteggiamento inerziale e promuovere un approccio consapevole e razionale alla vita. A tal fine, ha sottolineato l’importanza di due concetti strettamente correlati all’intelligence: il fattore culturale e il problema organizzativo.
In merito alla cultura dell’intelligence, Gabrielli ha evidenziato che, nel nostro Paese, tale ambito risulta arretrato. Ciò è imputabile alla mancanza di una chiara percezione da parte dello Stato circa il ruolo dei Servizi, talvolta guardati con diffidenza. Affinché si possa parlare di una vera e propria cultura dell’intelligence, è fondamentale garantire un utilizzo efficace delle risorse disponibili, adattandole alle circostanze. L’ottimizzazione dell’intelligence è realizzata, infatti, nel momento in cui vi è una corrispondenza tra strumenti impiegati e necessità operative.
Nel suo intervento, Gabrielli ha fatto riferimento a un utilizzo non sempre appropriato delle forze dell’ordine, citando il caso dell’impiego dell’esercito in compiti di presidio mediante posti di controllo permanenti che coinvolgono personale specializzato in compiti demotivanti, uno spreco di competenze.
Altrettanto importante, quando si parla di cultura dell’intelligence, è l’organizzazione dello Stato, una conoscenza dell’architettura istituzionale del proprio Paese, presupposto per sviluppare, in conformità alle caratteristiche strutturali e organizzative nazionali, un sistema di intelligence funzionale rispetto agli obiettivi.
La problematica organizzativa dell’intelligence è strettamente connessa al contesto in cui essa opera. In Italia, infatti, il sistema di intelligence si trova in competizione con altre istituzioni statali, generando una dinamica che tende a indebolirne funzione, potenzialità e capacità operative. Originariamente, l’intelligence si è sviluppata in ambito prevalentemente militare, caratterizzato da un approccio frammentario che, con difficoltà, ha tentato di evolversi verso una dimensione unitaria. Tali peculiarità hanno generato criticità significative, ostacolando l’affermazione e lo sviluppo del sistema di intelligence nazionale.
Una prima regolamentazione del sistema di intelligence è rappresentata dalla Legge n. 801 del 24 ottobre 1977, la quale ha avviato una riforma degli apparati dei Servizi.
Prima del 1977, il sistema di intelligence risultava frammentato, in quanto la regolamentazione era demandata ai ministeri, principalmente al Ministero della Difesa e al Ministero dell’Interno. Con l’emanazione della Legge 801/1977, si è proceduto non solo a istituire una normativa organica, ma ad avviare una riforma degli apparati di law enforcement.
Una ristrutturazione ritenuta doverosa poiché la riorganizzazione della “polizia politica” aveva portato alla istituzione/ristrutturazione delle Unità Informative Generali Operative Speciali (UIGOS) e delle Divisioni Investigazioni Generali e Operazioni Speciali (DIGOS), richiedendo dunque una innovazione anche sugli apparati di law enforcement.
Un ulteriore intervento si registra con la Legge n. 124 del 3 agosto 2007, che ha delineato una struttura organica e un quadro giuridico più definito per l’intelligence.
Diversamente dalla normativa del 1977, la Legge 124/2007 è stata il risultato di un’iniziativa parlamentare – e non governativa – approvata all’unanimità durante la legislatura del Governo Prodi (2006-2008). Tale approvazione, avvenuta in tempi brevi, evidenzia la necessità e la volontà condivisa di conferire una base giuridica e strutturata al settore.
La Legge 124/2007 ha rappresentato un’iniziativa fortemente voluta dal Parlamento, ma ha incontrato significative resistenze, in particolare da parte del SISMI. Opposizioni derivate dalla volontà di preservare un sistema di intelligence basato su un modello binario – distinto in Servizi per la sicurezza interna ed esterna – diversamente da quanto previsto dalla riforma che lo voleva unitario.
La riorganizzazione dell’Intelligence, tuttavia, ha segnato un punto di svolta, attribuendo la responsabilità politica al Presidente del Consiglio dei ministri, garantendo così una centralizzazione. Assetto che ha contribuito a ridefinire il rapporto tra coordinamento politico ed esecuzione operativa delle attività, segnando il superamento parziale del modello precedente.
Indicazioni normative sono state poi suggerite dal disegno di legge di Lorenzo Guerini, che ha previsto, tra i suoi punti, l’obbligatorietà della figura dell’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. Tale disposizione, secondo Gabrielli, dovrebbe essere interpretata in termini di esclusività, in quanto le funzioni connesse alla gestione dell’intelligence risultano onerose e non dovrebbero essere attribuite a un soggetto gravato da altri impegni istituzionali, quale il Presidente del Consiglio dei ministri.
Altro elemento indicato da Guerini nella proposta di legge, è l’obbligo di predisporre un documento strategico nazionale, strumento utilizzato dagli apparati di intelligence stranieri ma che ancora non ha trovato adeguata valorizzazione nel contesto nazionale. Tale documento si configura come atto programmatico vincolante, al quale i vertici delle attività di intelligence dovrebbero attenersi scrupolosamente.
Secondo Gabrielli, l’adozione e la valorizzazione del documento strategico potrebbero costituire un passo avanti per potenziare l’efficacia e la funzionalità dei Servizi del nostro Paese.
Infine, Gabrielli ha ribadito che l’intelligence richiede cultura nazionale e senso di sistema, sottolineando che le regole da sole non bastano per garantire risultati efficaci.