Navigare nell’oceano della disinformazione seguendo le rotte della verità
Mario CALIGIURI (SOCINT), ospite a Trieste del Centro culturale Veritas: “Il modo migliore per capire è fare del dubbio l’inizio della conoscenza”.
“Nel discutere di media e tecnologie, considero importante riflettere sulle implicazioni educative e sociali. Nel corso degli anni, le tecnologie hanno amplificato la capacità dei mezzi di comunicazione di influenzare e plasmare la percezione della realtà. Tuttavia, il crescente disagio sociale non può essere interamente attribuito all’uso estensivo delle tecnologie; piuttosto, esse rappresentano l’ultimo tassello di un processo che ha radici profonde“. Esordisce così, Mario Caligiuri – ordinario di Pedagogia e direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria nonché presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) – ospite, a Trieste, del Centro culturale Veritas dove ha tenuto una lezione al corso di Geopolitica.
Sopravvivere al futuro
“Alcuni anni fa, leggendo Alvin Toffler, ho compreso come il progresso tecnologico abbia contribuito all’aumento del disagio sociale – rievoca il docente -. Toffler ci ricorda che solo nelle ultime otto generazioni abbiamo sperimentato la diffusione del sapere attraverso la stampa e, nelle ultime sei, l’invenzione del motore a scoppio ha trasformato il modo in cui viviamo e consumiamo. Tuttavia, la società nella quale ci troviamo oggi, non è stata sempre l’ordine naturale delle cose, ma piuttosto un’eccezione nella storia umana“.
Il saggio, citato da Caligiuri, si intitola Lo choc del futuro. Come sopravvivere alla collisione con il domani (Sperling & Kupfer ): nel 1970 ne furono vendute sei milioni di copie e ne fu tratto un documentario narrato da Orson Welles.
Toffler, con il suo best-seller (titolo originale Future Shock ) seppe promuovere il dialogo e la discussione fra l’ambito scientifico e quello umanistico. Le sue osservazioni sono straordinariamente attuali: “La nuova educazione deve insegnare all’individuo come classificare e riclassificare l’informazione, come valutarne la veridicità, come cambiare categorie quando è necessario, come spostarsi dal concreto all’astratto e viceversa, come guardare ai problemi da nuove direzioni – come insegnare a se stesso” .
In sintesi, deve insegnare a ciascuno noi come sopravvivere al futuro per non lasciarsi sopraffare dal cambiamento. “Riguarda […] i passi attraverso i quali, probabilmente, arriveremo al domani. […] questioni comuni e quotidiane: i prodotti che acquistiamo e scartiamo, i luoghi che ci lasciamo alle spalle[…], le persone che attraversano a ritmo sempre più veloce le nostre vite”.
In questo contesto Caligiuri inquadra il tema della lezione: la disinformazione intesa come sfida educativa e democratica.
La sovrabbondanza di informazioni, combinata a un basso livello di istruzione, “crea un corto circuito cognitivo che – spiega – allontana le persone dalla comprensione della realtà. La nostra mente, sviluppata in migliaia di anni, può elaborare solo un numero limitato di concetti alla volta, mentre la disinformazione digitale la sovraccarica rendendole difficile processare le informazioni. In Italia, ad esempio, una percentuale significativa di persone, anche in possesso di titoli di studio, non riesce a interpretare frasi complesse o a utilizzare adeguatamente le abilità di base come la lettura e la scrittura”.
Uno scenario che richiama alla riflessione sulla robustezza della nostra democrazia, la cui efficacia è vincolata all’esistenza di élite politiche capaci di affrontare la complessità dei fenomeni innescati dal turbocapitalismo globale anticipato, già nel 1998, da Edward Luttwark nel saggio Turbo-capitalism: Winners and Losers in the Global Economy (W&N).
Il mondo rovesciato
“Se quasi un quarto della popolazione è analfabeta funzionale – afferma Caligiuri – dobbiamo chiederci se la partecipazione politica e la formazione delle opinioni pubbliche siano realmente basate su una comprensione dei fatti. Il mio lavoro di educatore mi ha portato a constatare che il divario tra titoli di studio conseguiti e preparazione reale è una realtà tangibile, evidenziando la necessità di un’educazione che valichi il mero possesso di diplomi e lauree”.
Nel 1967, il filosofo e regista francese Guy Debord pubblicò La società dello spettacolo (Massari Editore). In quest’opera, che ancora oggi ispira riflessioni profonde sulla natura della società moderna, introdusse la famosa tesi numero nove: “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso“.
L’idea di Debord si basa sull’inversione dell’espressione hegeliana “il falso è un momento del vero”. Mentre Hegel intendeva sostenere che il falso è destinato a essere superato nel processo dialettico dalla realtà, Debord suggerisce che nella realtà contemporanea – dominata dalle immagini e dalla virtualità – la verità è ridotta a un incidente di percorso.
Nell’informazione le notizie sono confezionate secondo una logica funzionale al pubblico di riferimento. Pertanto è necessario esercitare il pensiero critico, per individuare la verità celata dietro la rappresentazione mediatica”.
Caligiuri non si stanca di ripeterlo: non di sole fake news vive la disinformazione.
Più dannosa delle fake news è certamente la disinformazione di Stato, quella descritta minuziosamente da Régis Debray nel libro Lo stato seduttore. Le rivoluzioni metodologiche del potere (Editori Riuniti).
Messaggi simbolici delle multinazionali finanziarie o delle istituzioni pubbliche: una manipolazione sottile ma potente che riduce il discorso politico a slogan. “Lo stesso schema della promozione pubblicitaria: quello dei rotoloni Regina o della pasta Barilla“ ironizza il docente.
Inutile dire che, in questo contesto, il concetto di verità diventa sempre più sfuggente.
Frenesia digitale
Il filosofo sudcoreano Byung-chul Han nel suo saggio INFOCRAZIA. Le nostre vite manipolate dalla rete (Einaudi), sostiene che, nei paesi autoritari, la verità non può essere espressa, ma nei paesi democratici si perde, si “polverizza” in un flusso incessante di informazioni, rendendo difficile individuare ciò che è autentico, originale, vero.
Un “vuoto trasparente” che disorienta.
Mentre la privacy, la disciplina sulla riservatezza dei dati personali, cede il passo a una sorveglianza pervasiva.
“Entro il 2030 – avverte Caligiuri – l mondo sarà interamente connesso a Internet, con la sorveglianza digitale che raggiungerà livelli senza precedenti. Sfuggire a questo scenario sarà arduo, ma forse non impossibile: non sono ottimista né pessimista, cerco di essere realista e di promuovere un atteggiamento belligerante”.
Assaggiata l’acqua, conosciuta la sorgente
“Quando si parla di giornalismo è essenziale discutere di credibilità delle fonti. Le fonti giornalistiche, come le sorgenti d’acqua, possono essere inquinante all’origine. I media, guidati dagli interessi, non rappresentano più il cane da guardia della democrazia. La manipolazione delle informazioni è costante, progressiva, e la disputa per il controllo dei media ne è una manifestazione. I dibattiti televisivi, costruiti su logiche binarie e tempi limitati, favoriscono il tifo piuttosto che il pensiero critico: l’obiettivo non è promuovere il ragionamento, ma indurre le persone a schierarsi. Verificare la qualità delle fonti è difficile, poiché le fonti veramente indipendenti sono rare“. Ecco perché Caligiuri avvalla le parole di Carmelo Bene: “La libertà di stampa mi sta bene quando è libertà dalla stampa”.
La nostra epoca si caratterizza anche per la crescente importanza dell’intelligenza artificiale. Caligiuri esprime una certa preoccupazione in merito alla “mancanza di coscienza delle conseguenze” che contrappone alla “consapevolezza nucleare” riscontrata nei confronti delle armi. Sottolinea che l’IA è principalmente nelle mani di soggetti privati e il fatto che gli sviluppatori, su cui ricade ogni responsabilità etica, possano anche non avere una visione a lungo termine può portare a conseguenze imprevedibili.
Gabbie d’acciaio che blindano il pensiero
In ultima analisi Caligiuri si sofferma sulla trasformazione degli “assi di potere”: dal controllo territoriale al dominio della mente umana.
La presentazione dell’iPhone, nel 2007, ha segnato “la nascita di una nuova era (tecno)geologica“: un tempo anomalo dagli esiti abitualmente imprevisti, occasionalmente probabili, raramente certi.
Per uscire dalle gabbie d’acciaio che blindano il pensiero un modo, però, c’è: imparare a usare l’intelligenza, anche quella del rischio. E fare del dubbio l’inizio della conoscenza.