Tra verità e menzogna, analisi delle informazioni nella comunicazione a distanza
Lo studio di Mirco Turco, pubblicato da Socint Press, analizza strategie e sfide nelle telefonate in situazione di pericolo
In un’epoca in cui la verità è spesso velata dalle menzogne, l’analisi delle informazioni nelle comunicazioni telefoniche emerge come un importante strumento d’indagine. E sebbene i progressi scientifici e tecnologici offrano ad agenzie di intelligence e investigative interessanti opportunità, la fonte umana rimane prioritaria.
Lo studio di Mirco Turco, recentemente pubblicato da SOCINT PRESS, portale editoriale della Società Italiana di Intelligence, illustra le complessità nel valutare le informazioni durante una comunicazione telefonica di emergenza, ovvero quella fatta per segnalare una situazione di pericolo.
Senza il contatto visivo diretto, gli operatori devono fare affidamento su segnali verbali e paraverbali per individuare indizi di menzogna o falsità.
“Le chiamate di emergenza presentano un contesto unico in cui la valutazione della credibilità è fondamentale per garantire risposte rapide ed efficaci – afferma Turco -. Tuttavia, senza la possibilità di guardarsi in volto, è essenziale sviluppare strategie e tecniche per interpretare le informazioni trasmesse attraverso il telefono“.
L’analisi investigativa non è un processo automatico, ma piuttosto un intreccio di variabili emotive, cognitive, sociali, temporali e spirituali. La sfida è riuscire a decodificare i segnali, verbali e non verbali, che possono confermare o smentire l’autenticità delle informazioni trasmesse dal chiamante.
“C’è una sottile linea tra una conversazione telefonica genuina e una sospetta – puntualizza il docente -. Il tono della voce, le pause, le incongruenze nel racconto possono essere tutti elementi chiave per determinare la credibilità di una chiamata di emergenza.”
Alla ricerca della verità: una panoramica storica
Nel tentativo di trovare la verità, l’uomo ha sviluppato sieri, dispositivi e tecniche di interrogatorio, alcuni dei quali oggi appaiono bizzarri o spietati. Ma se, come sostiene Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, “il linguaggio è stato inventato per dare alla gente l’opportunità di nascondere ciò che pensa”, occorre molta cautela.
Tra i primi tentativi di trovare un modo “scientifico” per ottenere una confessione c’è quello, nel 1840, dello psichiatra francese Jacques-Joseph Moreau, alias Moreau de Tours, che mescolò gas esilarante, cloroformio e hashish per ottenere l’effetto dormiveglia poi sfruttato dalla Sûreté di Parigi durante gli interrogatori.
Nel 1931, Henry House escogitò il siero della verità, messo a punto mescolando il respiro del diavolo (alcaloide allucinogeno ricavato dalla mandragora, noto in Italia con il nome di scopolamina) alla mescalina (principio attivo della Lophophora williamsii, nome comune peyote).
Negli anni Sessanta, nell’ambito del programma di brainwashing della CIA Mkultra – nato nel 1953 dall’evoluzione di progetti militari come il Chatter e il Bluebird ribattezzato Artichoke – lo psichiatra canadese Donald Ewen Camerun somministrò un potente allucinogeno semisintetico, il Dietilammide dell’acido lisergico (LSD), abbinandolo a deprivazione sensoriale, stress ed elettroshock. Nel 1972 il responsabile di Mkultra, Sidney Gottlieb, riconobbe che quel mix era stato tanto dannoso quanto inefficace. E negli anni Ottanta fu la volta della MDMA (Ecstasy), sostanza sintetica derivata dell’amfetamina.
Prove tecniche di rilevazione della menzogna
La ricerca della verità ha spesso attraversato il territorio dell’anatomia, della fisiologia e dell’emozione umana.
Pare che già l’anatomista greco antico, Erasistrato di Ceo, medico reale, utilizzasse i palpiti del cuore per riconoscere la menzogna, ma il primo strumento di rilevazione del ritmo cardiaco ritenuto attendibile risulta il Pulsilogium, scoperta che, nel 1583, Galileo Galilei condivise con il medico istriano Santorio Santori, padre della fisiologia moderna.
Lo studio del ritmo fu, probabilmente, il primo passo verso la comprensione dei processi organici ed emotivi.
Nel saggio di fisiologia De Motu Cordis, pubblicato postumo nel 1728, Giovanni Maria Lancisi, afferma che l’emozione è generata dalla relazione tra funzioni mentali, nervi e coronarie cardiache. Uno studio recente, apparso su PNAS Proceedings of the National Academy of Science e condotto da un team di ricercatori delle Università di Pisa, Padova e della University of California, ha evidenziato il ruolo cruciale dell’attività cardiaca nell’esperienza emotiva cosciente. Attraverso l’analisi dei dati, è emerso che, durante le fasi emotive, l’interazione tra attività cerebrale e cardiaca è prevalentemente guidata dal cuore, mentre nelle fasi di quiete è il cervello a influenzare l’attività cardiaca. Questa scoperta rimarca il ruolo centrale del cuore nell’esperienza emotiva umana.
Nel corso dei secoli, una serie di strumenti ha indagato i processi fisiologici ed emotivi: dai più semplici come lo sfigmomanometro che misura la pressione arteriosa, il pletismografo di Mosso che monitora il volume polmonare e l’idrosismografo di Lombroso, ai più sofisticati come il poligrafo o “macchina della verità”. Tuttavia, con l’avanzare della tecnologia, l’obiettivo non è più stato ricercare verità, ma rivelare la menzogna.
Ecco allora il Voice Stress Analyzer, sviluppato da tre ex impiegati dell’Esercito degli Stati Uniti e basato sul calcolo dell’algoritmo McQuiston-Ford che analizza i microtremori nella voce umana. Oppure il Facial Action Coding System (FACS), sviluppato da Ekman-Friesen, nel 1978, che valuta i movimenti delle espressioni facciali in relazione alle emozioni. E ancora, la Scientific Content Analysis (SCAN), ideata da Avinoam Sapir, orientata all’analisi verbale del discorso. O ancora il Verbal Enquiry Effective Witness (VIEW), un questionario utilizzato per vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni e, venendo ai giorni nostri, le tecniche di neuroimaging che consentono di studiare, in modo non invasivo, le funzioni cerebrali.
“Le moderne procedure di indagine – avverte Turco – sollevano però la questione del possibile aumento del bias illusorio-narcisistico che, in sede di interazione, può portare a errori di decodifica causando falsi positivi”.
La maggior parte delle persone che non dice la verità non falsifica: dissimula. Nasconde volontariamente informazioni senza fornirne di false. Solo una minoranza falsifica attivamente, un compito impegnativo che richiede la reiterazione della bugia e l’elaborazione di dettagli sempre più complessi.
Esistono, di fatto, diversi modi di mentire, tra cui l’omissione, l’occultamento, la falsificazione, il mascheramento e la falsa conferma. Questa varietà di approcci rende la ricerca della verità un compito complesso.
Inoltre, vi sono errori da evitare durante le indagini. Fondamentale è la cautela, in primis nell’interpretare i segnali. Occorre poi considerare il contesto, la personalità e le differenze individuali. E tenere ben presente che se le aspettative positive possono influenzare la percezione della realtà, portando a sottostimare segnali di tensione o menzogna, il pregiudizio cognitivo può restringere la visione e indirizzare l’indagine verso una conclusione predefinita, ignorando prove contraddittorie. Considerare questi aspetti è essenziale per condurre un’indagine efficace, garantendo il rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone coinvolte.
Le corde vocali, luogo dove risiede l’anima
La voce rivela informazioni significative sugli stati emotivi di una persona. Il temperamento può essere percepito dall’intonazione, mostrando così che l’anima risiede anche nelle corde vocali. Il ritmo del parlato è altrettanto importante: da un interloquire calmo a uno veloce, da un tono alto a uno monocorde, ogni variazione riflette uno stato emotivo o una condizione psicologica. La cultura, i contesti sociali e determinate patologie mentali influenzano la voce, come pure il modo di percepirla. Il modo in cui una persona usa la sua voce, costruisce le frasi, sceglie le parole e la punteggiatura riflettono il suo stile di comunicazione che è unico, un’impronta digitale stilistica o , ancor meglio, un vero e proprio “DNA linguistico”.
Tuttavia, durante la comunicazione telefonica, la valutazione anche di questi aspetti diventa più complessa, poiché manca il contatto visivo come pure altri segnali non verbali.
Questione di credibilità
La credibilità è la qualità, attribuita a una fonte o a un messaggio, che misura la disponibilità del destinatario ad accettare le affermazioni ricevute. In realtà, dagli studi sociologici, la credibilità si configura come una relazione, tra chi vuole essere credibile e colui che deve credere. Significativi sono gli studi sulla fiducia del sociologo Niklas Luhmann, secondo cui credibile è chi resta coerente con l’idea di sé che ha dato agli altri, anche in assenza di una prova pubblica a questi “altri“.
Dunque, la credibilità è qualcosa di di soggettivo e dipende dai meccanismi della nostra mente in termini di ricordi, emozioni ed esperienze logiche.
Nel contesto delle telefonate di emergenza, legate a situazioni criminali, la valutazione della credibilità è di vitale importanza per le autorità investigative.
Attraverso un’analisi attenta dei vari indicatori verbali, vocali ed emotivi presenti nelle conversazioni telefoniche, è possibile ottenere preziose informazioni sulla credibilità del chiamante e sulla natura degli eventi riportati.
“In sintesi – conclude Turco – le telefonate di emergenza forniscono un’opportunità unica per ottenere informazioni immediate su situazioni critiche, ma è fondamentale affrontare tali chiamate con uno spirito critico e un approccio metodologico. La presenza di barriere verbali, la coerenza delle informazioni fornite, tono della voce e delle emozioni espresse sono tutti elementi da considerare durante l’analisi delle conversazioni. È importante anche tenere conto del contesto specifico di ciascuna chiamata e delle dinamiche personali e sociali che potrebbero influenzare il comportamento del chiamante. Le differenze culturali possono giocare un ruolo significativo nella modalità di comunicazione in caso di emergenza”.
La tecnologia moderna offre strumenti sempre più sofisticati per l’analisi delle telefonate, inclusi software di riconoscimento vocale e algoritmi di analisi del linguaggio naturale. Tuttavia, è importante integrare tali strumenti con l’esperienza umana e il buon senso per ottenere risultati accurati e affidabili.
In definitiva, l’analisi delle telefonate di emergenza “rappresenta una componente fondamentale delle indagini e gioca un ruolo cruciale nel determinare la verità in situazioni critiche”.
Una valutazione accurata delle informazioni, quindi, non solo contribuisce alla risoluzione dei casi ma promuove la sicurezza pubblica.