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Educazione, sfida strategica per la democrazia

Quanto è vulnerabile una democrazia se il suo sistema educativo non forma il pensiero critico?

Alla Luiss, durante la presentazione di  Maleducati. Educazione, disinformazione e democrazia in Italia di Mario Caligiuri, edito da Luiss University Press, il dibattito ha toccato uno dei nodi cruciali del nostro tempo: la disinformazione non è solo un problema mediatico, ma un fenomeno che affonda le radici nella scuola e nell’università. Un’istruzione sempre più conformista e una narrazione pubblica sempre più distorta amplificano lo scarto tra realtà e percezione, rendendo la società più esposta a manipolazioni e condizionamenti

Se ne è discusso con il rettore Paolo Boccardelli, il presidente Anvur Antonio Felice Uricchio, il presidente Invalsi Roberto Ricci, il prorettore Luiss Livia De Giovanni e lo stesso Caligiuri, moderati da Flavia Giacobbe. Il punto centrale? In un’epoca di guerra cognitiva, il sapere è una risorsa strategica: proteggere la democrazia significa investire sull’educazione e sulle capacità di discernimento dei cittadini. Un’urgenza che non può più essere rimandata.

Mario Caligiuri

Nel corso dell’incontro è emersa una preoccupazione condivisa per il sistema educativo, sempre meno orientato a formare il pensiero critico. Scuola e università, invece di favorire l’emancipazione intellettuale, alimentano dinamiche di omologazione, premiando la ripetizione di nozioni standardizzate piuttosto che lo sviluppo di capacità autonome di analisi. Il rischio è che l’educazione allontani dalla comprensione del reale, incanalando le persone verso una visione preconfezionata della società.

Il tema della disinformazione è stato centrale. Il divario tra realtà e percezione è in costante aumento, complice il declino delle competenze e il ruolo sempre più pervasivo dei media digitali. La narrazione della realtà diventa più influente della realtà stessa, generando un effetto scotoma: le persone selezionano inconsapevolmente le informazioni che confermano le proprie convinzioni, escludendo il resto.

In questo scenario si inserisce un contesto più ampio di guerra cognitiva, in cui l’informazione è un’arma strategica. Le democrazie occidentali – e l’Italia in particolare – subiscono un’influenza crescente da attori economici globali che orientano l’opinione pubblica e le decisioni politiche. La politica, in questo quadro, appare sempre più funzionale a interessi economici privati piuttosto che alla rappresentanza democratica.

Caligiuri ha posto l’accento sulla crisi del sistema educativo come vulnerabilità strategica. L’Italia, già penalizzata da livelli di istruzione inferiori rispetto ad altri Paesi europei, ha visto accentuarsi il divario tra Nord e Sud, tra classi sociali, tra chi ha accesso a un’educazione di qualità e chi ne è escluso. La debolezza della scuola diventa così un problema non solo culturale, ma anche di sicurezza nazionale: una popolazione meno istruita è più esposta a manipolazioni.

Di fronte a queste sfide, appare urgente la necessità di un intervento sistemico basato su misure educative mirate. Contrastare la disinformazione non significa solo smentire fake news o regolamentare i media, ma investire sulla formazione delle nuove generazioni. L’educazione alla complessità e lo sviluppo del pensiero critico devono diventare priorità strategiche per garantire la tenuta democratica e la sicurezza del Paese. Anche la comunicazione istituzionale deve essere ripensata, affinché non contribuisca alla confusione informativa, ma favorisca trasparenza e verificabilità.

Il dibattito si è chiuso con una riflessione sulla necessità di una maggior consapevolezza. il sapere non è solo crescita individuale, ma una risorsa collettiva strategica da difendere e valorizzare.

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