Come pesci nell’acqua della Senna
Maria Antonietta Calabrò, basandosi sul lavoro di Mario Caligiuri, solleva questioni fondamentali sulla natura e l’impatto della disinformazione nel contesto delle Olimpiadi di Parigi 2024.
Come possiamo sviluppare la consapevolezza necessaria per “vedere l’acqua” in cui siamo immersi? E quali strumenti – analitici e critici – possono aiutarci a navigare in questo “fiume di informazioni”?
Maria Antonietta Calabrò, offre una prospettiva interessante sul fenomeno della disinformazione nel contesto delle Olimpiadi di Parigi 2024.
Calabrò, firma dell’Huffington Post, basandosi sul lavoro di Mario Caligiuri – uno dei massimi studiosi europei di Intelligence e uno dei primi studiosi della disinformazione in Italia, a lui si deve la definizione di “società della disinformazione” coniata nel 2012 – solleva questioni fondamentali sulla natura e l’impatto della disinformazione nella società contemporanea.
Le Olimpiadi, evento di grande risonanza, offrono infatti un palcoscenico ideale per l’attuazione delle “misure attive” di disinformazione.
La giornalista sottolinea come questi avvenimenti, di portata mondiale, diventino catalizzatori per strategie di manipolazione.
Ne sono la prova le polemiche scatenate dalla rappresentazione della festa pagana andata in scena durante la cerimonia d’inaugurazione dei Giochi, la marea transfobica cresciuta in occasione dell’incontro tra la pugile italiana Angela Carini e l’atleta algerina Imane Khelif, la notizia del tutto falsa del ritiro della sponsorizzazione da parte di Samsung e le foto virali delle nuotatrici in costume da bagno con la scritta – aggiunta digitalmente –“not a dude” (“non sono un uomo”) rilanciate anche da un ex senatore leghista.
Il riferimento alla metafora attribuita a Marshall McLuhan – “quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua” – è calzante. Questa immagine cattura l’essenza della sfida: siamo così immersi nella disinformazione da faticare a riconoscerla.
Caligiuri, nel suo saggio Maleducati (ULP) – e ancor prima nei volumi, editi da Rubbettino, Introduzione alla società della disinformazione e Come i pesci nell’acqua. Immersi nella disinformazione, con la prefazione di Luciano Floridi – esplora più a fondo le implicazioni della metafora, suggerendo strategie concrete per “vedere l’acqua”.
Gli spunti di discussione che egli offre sono davvero molti.
Calabrò ne raccoglie alcuni, in primis l’educazione come strumento per contrastare la disinformazione. Dalla riflessione emergono questioni importanti circa la capacità del sistema educativo italiano di formare una classe dirigente adeguata e sul perché l’Italia abbia avuto di rado una classe dirigente all’altezza temi che hanno attraversato il dibattito pubblico – e scientifico – del nostro Paese.
Nel caso specifico, Caligiuri anatomizza le occasioni mancate, giungendo a una conclusione interessante: sono state le peculiarità del nostro sistema politico a condurre l’Italia ad accumulare, dagli anni Ottanta del Secolo breve, uno dei più alti debiti pubblici e uno dei più bassi tassi di crescita economica. Come pure a silenziare il concetto di merito.
L’articolo fa poi riferimento al divario tra percezione e realtà, un divario ben evidenziato anche dai dati Ipsos resi noti a gennaio scorso. Un aspetto non trascurabile per comprendere come la disinformazione attecchisce e si propaga nella società.
Il concetto di “misure di controeducazione” proposto da Caligiuri – e ripreso da Calabrò – è particolarmente interessante e apre almeno a due interrogativi: come si possono implementare queste misure senza cadere in forme di indottrinamento? Quali sono i rischi e le opportunità di un approccio così diretto?
La complessità del tema richiede un’analisi trasversale. La sfida alla disinformazione non può essere affrontata solo attraverso l’educazione tradizionale. Richiede sforzo collettivo e un approccio multidisciplinare: solo così potremo sperare di “vedere l’acqua” in cui siamo immersi e costruire una società più resiliente.