INTELLIGENCE, ROBERT GORELICK al Master dell’Università della Calabria: “Il futuro dell’Intelligence? COORDINAZIONE e CULTURA dell’IMMAGINAZIONE”.
Che cos’è l’Intelligence? In che modo vengono raccolte le informazioni per la sicurezza degli Stati? Di quali tecniche e coperture si avvale? E quali sfide dovrà afffrontare nel prossimo futuro?
A queste e a molte altre domande ha risposto Robert Gorelick, capo centro della Central Intelligence Agency in Italia dal 2003 al 2008, relatore al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Nel corso della sua lezione, intitolata L’intelligence nel mondo: uno sguardo americano, Gorelick ha analizzato il ruolo dell’intelligence a livello globale, evidenziando il radicale cambiamento avvenuto negli ultimi venti anni.
“Nel 2005 – ha esordito – in risposta agli eventi dell’11 settembre, gli Stati Uniti hanno istituito il DNI Director of National Intelligence, centralizzando le operazioni. Inizialmente criticata dal presidente emerito della Repubblica italiana Francesco Cossiga, questa scelta è stata replicata in Italia nel 2007 con la creazione del DIS Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza“.
L’ex funzionario CIA ha delineato il vasto spettro delle attività di intelligence rimarcando “la necessità di definizioni chiare” . Precisando la distinzione sostanziale tra “insuccessi nell’analisi e nella ricerca”, ha argomentato che il recente dibattito sul “fallimento dell’intelligence, in special modo quella israeliana” richiede sia fatta proprio questa differenziazione.
Focalizzandosi sulle metodologie chiave, ha illustrato SIGINT Signal Intelligence (intelligence dei segnali di comunicazione), ELINT Eectronic-signals Intelligence (intelligence dei segnali elettronici), OSINT Open Source Intelligence (intelligence delle fonti aperte), IMINT Imagery Intelligence (intelligence delle immagini), MASINT Measurement and Signature Intelligence (intelligence mediante misurazione di ambienti fisici) e HUMINT Human Intelligence (intelligence dei contatti interpersonali).
Riflettendo su quest’ultima – lo spionaggio classico – ha ripercorso la sua esperienza operativa nella CIA, “una carriera sul campo, sotto copertura, in solitudine e fuori dal perimetro delle ambasciate”.
Servizi segreti nel Terzo millennio
Gorelick ha spiegato come lo spionaggio, definito “il secondo mestiere più vecchio del mondo”, si sia adattato ai cambiamenti del XXI secolo.
Due le circostanze che hanno dato origine a questa metamorfosi: gli attacchi dell’11 settembre 2001 e la rivoluzione tecnologica.
“Prima dell’11 settembre, gli obiettivi di intelligence erano principalmente statali, con priorità politiche. Dopo quella data, per tutti i servizi occidentali, lotta al terrorismo e controproliferazione sono divenuti obiettivi preminenti, segnando una transizione dall’intelligence strategica a un approccio più tattico a sostegno delle forze armate, cambiamento ancora in corso”.
Il relatore si è poi soffermato sul processo di individuazione e reclutamento di una fonte, partendo dall’identificazione dell’obiettivo e procedendo attraverso le fasi di avvicinamento volte a valutare il l’effettivo accesso alle informazioni. Ha inoltre differenziato il reclutamento ufficiale dalla gestione clandestina della fonte, evidenziando come questo processo si sia trasformato e semplificato con l’introduzione delle nuove tecnologie. Nel contesto attuale del controspionaggio, l’operazione di connessione delle informazioni attraverso le tecnologie risulta notevolmente facilitata, anche grazie l’introduzione di modelli di intelligenza artificiale e computer quantistici. L’acquisizione di tecnologie dal settore privato è diventata un elemento essenziale per affrontare con successo le complesse dinamiche dell’intelligence contemporanea, rappresentando una vera rivoluzione nel campo che ha operato per secoli senza significativi cambiamenti.
“In passato – ha ricordato il docente – l’intelligence si fondava su azioni sul campo. Durante la guerra civile americana, ad esempio, le posizioni degli eserciti venivano identificate da osservatori a bordo di mongolfiere e le informazioni riservate intercettate attraverso la decifrazione di telegrammi. In tempi più recenti, le operazioni iniziavano con l’invio di agenti segreti nei Paesi interessati, capaci di operare in modo sicuro, grazie a mezzi di travestimento e documenti falsi, mutando identità più volte al giorno. Utilizzando false identità, potevano affittare case da destinare a basi operative. Tuttavia, nel terzo millennio, questo approccio non è più praticabile”.
Quali sfide per il futuro?
Il relatore ha evidenziato l’urgenza di adottare una modalità operativa rinnovata per affrontare sfide in continua evoluzione. “Integrare i diversi metodi d’intelligence e servirsi di nuove tecnologie sarà fondamentale”, ha dichiarato, sottolineando la necessità di collaborazioni sempre più strette con il settore privato. Inoltre, ha ribadito l’importanza di potenziare il controspionaggio per affrontare ambienti sempre più complessi e ostili. Altro cambiamento fondamentale è rappresentato dal dover operare fuori dai tradizionali perimetri delle ambasciate e con coperture sartoriali, “identità su misura ma permanenti che gli ufficiali indosseranno adattandole nel corso della loro carriera”.
La prospettiva futura richiede, inoltre, una revisione delle priorità, con un passaggio dall’approccio paramilitare-tattico a uno più classico-strategico.
Un monito è stato lanciato contro la tendenza alla centralizzazione, poiché quest’ultima “può soffocare immaginazione e creatività, aspetti cruciali nell’attività di intelligence”.
Parola chiave, per Gorelick, non è quindi “centralizzare” bensì “coordinare”.
A tal proposito ha sottolineato il valore delle competenze e posto l’accento sia sulla conoscenza delle lingue straniere, in particolare l’inglese, sia sulla comprensione delle culture e dei popoli del mondo, entrambe indispensabili per acquisire dati rilevanti.
Secondo il relatore, dovrebbe esservi poi una selezione sempre più attenta e qualificata di giovani talenti, nei vivai degli atenei, da avviare alle professioni d’intelligence.
“Invece di focalizzarci sui cambiamenti strutturali, dovremmo promuovere cambiamenti culturali”, ha concluso Gorelick che, riflettendo sulla sua personale esperienza, ha ricordato: “La cultura dell’immaginazione è stata per me la più efficace”.