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La semantica dell’Intelligenza istituzionale

Il concetto di intelligenza istituzionale si evolve, integrando aspetti umani e tecnologici. Una prospettiva che mette in discussione modelli consolidati e apre all’innovazione, a nuovi e più efficaci approcci tra cui l’Intelligence.

Una riflessione che nasce all’interno del convegno, promosso da Comunicazione Pubblica, dal titolo Intelligenza istituzionale. La comunicazione pubblica tra ambienti digitali etici, competenze e complessità delle relazioni tra cittadini e istituzioni in Italia e nella traiettoria europea.

Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT), nel suo intervento ha focalizzato l’attenzione sul contrasto tra Stato innovatore e Stato seduttore.

Il primo – ha ben spiegato Caligiuri, che è anche direttore del Master in Intelligence e ordinario di Pedagogia dell’Università della Calabria – è orientato alla promozione dello sviluppo e agli investimenti strategici, mentre il secondo promuove la disinformazione e la manipolazione dell’opinione pubblica. Una distinzione sostanziale nel contesto delle sfide globali contemporanee, dove le istituzioni si muovono su crinali scivolosi: da un lato scelte progressiste, dall’altro la resistenza alla corruzione.

Un esempio eloquente di stato innovatore, ha chiarito il professore, emerge dal lavoro di Mariana Mazzucato, docente all’University College London, dove ha fondato e dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose.

Nel suo libro Il grande imbroglio. Come le società di consulenza indeboliscono le imprese, infantilizzano i governi e distorcono l’economia (Laterza) – scritto insieme a Rosie Collington, dottoranda presso lo stesso istituto – Mazzucato fotografa criticamente il panorama economico italiano

Il saggio mette in evidenza come decenni di sotto-investimento nello Stato abbiano compromesso le sue capacità di gestire il cambiamento e investire in settori cruciali per la crescita.

Attraverso una rigorosa analisi, Mazzuccato scandaglia gli effetti devastanti dell’ideologia dell’austerità che ha indebolito lo Stato rendendo meno capace di affrontare sfide e minacce, come la pandemia da Covid-19.

E sottolinea, inoltre, l’importanza di ricostruire le competenze interne dello Stato e superare le narrazioni ideologiche investendo in un settore pubblico forte e competente, in grado di collaborare efficacemente con il settore privato per promuovere il bene comune e favorire una crescita economica inclusiva e sostenibile

Negli ultimi anni, l’Italia ha sperimentato una tendenza alla spesa pubblica generosa, caratterizzata da una serie di bonus e incentivi distribuiti a piene mani. Lo racconta Veronica De Romanis, economista e docente alla Luiss e alla Stanford University di Firenze.Nel suo libro Il pasto gratis: 10 anni di spesa pubblica senza costi apparenti (Mondadori), rivela come questo modus operandi sia diventato caratteristica dominante delle politiche pubbliche italiane, con governi disposti a offrire bonus e incentivi senza distinzione di reddito o necessità.

Dal bonus di 80 euro di Renzi al cashback, dal reddito di cittadinanza al superbonus, l’Italia ha assistito a un proliferare di iniziative volte a soddisfare le esigenze degli elettori e a guadagnare consenso politico.

Ma i “pasti” non sono affatto gratuiti.

Dall’analisi dei dati economici emerge che un conto da pagare c’è ed è pure salato. Si chiama debito pubblico e pesa sui contribuenti rendendo l’Italia vulnerabile agli shock economici esterni. Il debito pubblico non è solo un grattacapo, è un cappio che soffoca lentamente il Paese: gli interessi sul debito rappresentano, infatti, una voce significativa delle spese pubbliche annuali, superando persino i fondi destinati all’istruzione e all’educazione. La politica dei pasti gratis, avverte De Romanis, è come una droga: ogni governo si impegna a superare il predecessore, aumentando l’offerta e arrivando al surreale, come il superbonus del 110%.

La discussione si è poi estesa alla natura dell’Intelligence nel contesto istituzionale.

L’intelligence, ha detto Caligiuri, non riguarda solo la raccolta di informazioni, ma anche la capacità di analizzarle in modo critico e prendere decisioni informate.

Questo diventa particolarmente rilevante nell’era delle intelligenze artificiali – come ama definirle padre Paolo Benanti – , dove la capacità di comprendere e normare l’uso di nuove tecnologie è cruciale per la stabilità e la sicurezza delle società.

Tuttavia, la strada verso una regolamentazione efficace dell’IA è costellata di indeterminatezze.

La rapida evoluzione delle tecnologie digitali richiede un approccio dinamico, che tenga conto delle trasformazioni in corso nella società e nell’economia. L’Unione Europea, pur essendo in prima linea nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale, deve rincorrere la Cina e gli Stati Uniti nello sviluppo digitale.

Al centro di questa discussione si trovano la crisi della democrazia e il ruolo della disinformazione.

In un’epoca segnata da un surplus informativo e da livelli di istruzione in contrazione, diventa sempre più difficile distinguere tra verità e manipolazione. Questo solleva importanti questioni sulla natura stessa della democrazia e sulla sua capacità di adattarsi alle sfide del XXI secolo.

In conclusione, la ricerca di una semantica dell’intelligenza istituzionale rappresenta tanto una sfida quanto un’opportunità. E l‘Intelligence, intesa come capacità di comprendere e decidere in modo consapevole, il fulcro di un nuovo paradigma di governance e sviluppo sociale.

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