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La Cucina dell’Intelligence, nutrire la mente per sfamare il mondo

Mario Caligiuri a confronto con gli studenti del Vespucci, storico Alberghiero della città di Milano, invita a riflettere sull’impatto che il cibo esercita sul mondo e a considerare l’alimentazione non solo come atto di sopravvivenza, ma anche come forma di comunicazione, di cultura e di potere.

La dimensione alberghiera richiama concetti profondi, legati all’accoglienza, alla cura, ed evoca uno spazio protetto, quasi una famiglia. Un ambiente connesso alla sopravvivenza, al ciclo della vita e alla perpetuazione della specie umana”.

Mario Caligiuri e Luigi Costanzo, dirigente dell’Istituto alberghiero Vespucci

Così Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence, ordinario di Pedagogia e direttore del Master in Intelligence all’Università della Calabria, ospite all’Alberghiero Amerigo Vespucci di Milano, istituto che vanta una lunga e prestigiosa tradizione nella formazione professionale.

Milano, che Caligiuri definisce “faro d’Italia” , è un crocevia di cambiamenti e innovazioni. “Molte delle trasformazioni epocali – spiega il docente – hanno avuto inizio proprio in questa città: dai moti risorgimentali al socialismo, dal fascismo al Comitato nazionale di liberazione, fino ad arrivare alla Lega, a Forza Italia e al Movimento 5 Stelle”.

Ma l’antica Mediólanon  non è soltanto uno snodo politico, è anche “il cuore pulsante della comunicazione, dove settori chiave come l’editoria, la moda, il design trovano la loro massima espressione.

Allargando lo sguardo all’Italia, Caliguri sottolinea il miracolo di trasformazione del Paese: “da un dopoguerra disastroso” a una tra le principali potenze culturali, economiche e turistiche.

Un successo, come spiega l’economista John Kenneth Galbraith, “dovuto non solo alla scienza, all’ingegneria, alla qualità del management industriale, all’efficacia della gestione amministrativa e politica o alla disciplina e alla collaboratività dei sindacati e delle organizzazioni industriali. La ragione vera è che l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura e che città come Milano, Firenze, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza”.

Una bellezza, sconosciuta alla maggior parte degli italiani, che Antonio Stoppani raccontava già nel 1873 nel libro Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia (Barbera). Una minuziosa guida popolare, di enorme successo, diffusa attraverso la Scuola per “insegnare agli abitanti di quelle contrade ad apprezzare un po’ meglio se stessi e le bellezze di cui la natura , ministra di Dio, non fu avara nelle diverse province d’Italia“.

E’ proprio ispirandosi all’abate Stoppani che, nel 1906 Egidio Galbani, fondatore dell’omonima azienda, crea il Formaggio del Bel paese per contrastare “i formaggi di lusso” d’Oltralpe.

Di fatto, l’espressione Bel Paese, originariamente coniata da Dante e Petrarca, è oggi uno stereotipo che, secondo Lucio Caracciolo, direttore di Limes, riflette “un modo poco intelligente di definire noi stessi”. Caracciolo mette in guardia dall’immaturità strategica” che ci porta ridurre l’Italia alla sua bellezza, sottolineando che se ci concentriamo solo su questo aspetto rischiamo “di diventare oggetto anziché soggetto geopolitico. Promuovere l’Italia come semplicemente ‘bella’ rischia di produrre l’effetto opposto a quello desiderato: è come se gli svizzeri facessero propaganda per la Svizzera parlando dell’orologio a cucù. Cerchiamo di non danneggiarci da soli”.

Proviamo, invece, a sfruttare il potenziale culturale, storico, artistico, paesaggistico, industriale e gastronomico dell’Italia per confrontarci orgogliosamente, su un piano di parità, con il resto del mondo.

Di cosa parliamo quando parliamo di Intelligence

L’Intelligence, per Caligiuri, è la chiave della modernità: “una risorsa essenziale nello scontro tra intelligenza umana e IA, il cui esito sfugge alle previsioni”. Per comprendere qualsiasi fenomeno, occorre partire dalle parole “poiché queste sono atti di identità che delineano ciò che aspiriamo a essere e la realtà che ci circonda. Le parole danno forma alle cose”.

In quest’ottica, il docente esplora il significato del vocabolo Intelligence, intrinsecamente connesso all’intelligenza, qualità umana che coinvolge la logica e la razionalità del pensiero. “Il termine deriva dal latino intelligere capire/comprendere, e denota la capacità di legere/collegare le relazioni tra le cose, trasformando i dati disponibili. Con il termine Intelligence ci riferiamo a tre concetti: una struttura statale rappresentata dagli apparati, i servizi segreti; un metodo di trattamento delle informazioni; il complesso di tali funzioni”.

Una definizione incisiva di Intelligence è stata fornita da Bill Gates che, parlando su un altro argomento, ha affermato: “Ho una certezza semplice ma incrollabile: il modo migliore per prevalere sugli altri è eccellere nel campo dell’informazione e, di conseguenza, nel modo in cui si raccolgono, analizzano e utilizzano le informazioni“. Ciò a cui fa riferimento è il ciclo dell’Intelligence.

Tutti quanti voglion fare l’Intelli…jazz

Cinquanta anni fa il jazz entrava nella vita di milioni di persone grazie a un film di animazione, Gli aristogatti (Walt Disney) e a una canzone: Tutti quanti voglion fare il jazz. “Nel jazz – come spiega Alberto Pagani nel Manuale di Intelligence e Servizi Segreti (Rubbettino) – bisogna saper riconoscere i problemi piuttosto che risolverli, ascoltare e interagire […] piuttosto che isolarsi”.  Ciascuno deve interpretare ciò che suonano gli altri, libero di cercare sonorità nuove ma vigile rispetto alla responsabilità di non compromettere la creatività e l’abilità altrui.

Un modello di semplificazione della complessità che si addice all’Intelligence intesa, in primis, come necessità sociale: per le persone, le aziende e gli Stati.  

Per le persone “in quanto, vivendo nella società della disinformazione, la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra – chiarisce Caligiuri -. Questa società si manifesta con un eccesso di informazioni da un lato e un basso livello di istruzione sostanziale dall’altro. Il nostro cervello è programmato per rispondere a 346 stimoli al secondo, ma riusciamo a ricordare solo 7 concetti alla volta. Quando riceviamo troppe informazioni andiamo incontro a un sovraccarico cognitivo, il cosiddetto infomation overload, che rende difficile focalizzare l’attenzione e decidere. Per quanto riguarda il livello di istruzione, in Italia, il 76% dei nostri connazionali non è in grado di interpretare una frase complessa in lingua italiana e quasi il 27% è considerato analfabeta funzionale: sa leggere, scrivere e fare calcoli ma non riesce a utilizzare queste abilità in maniera adeguata. Queste sono le stesse persone che navigano in Rete, rispondono ai sondaggi e votano. Pertanto, è necessario riflettere sulla natura della democrazia del nostro Paese“.

Per le aziende, “in quanto la globalizzazione richiede una competizione sempre più intensa, quindi avere le informazioni in anticipo fa la differenza”.

Per gli Stati, per garantire il benessere e la sicurezza dei cittadini“.

In definitiva, l’Intelligence è strettamente legata alla conoscenza.

Dialogo e confronto, le più alte forme del sapere

Raffaello Sanzio, Scuola di Atene (1509-1511)

“La Scuola di Atene – ragguaglia Caligiuri – è un affresco del pittore urbinate Raffaello Sanzio realizzato tra il 1509 e il 1511. Un capolavoro rinascimentale, nella parete ovest della Stanza della Segnatura, così chiamata perché per lungo tempo fu sede del tribunale ecclesiastico. Rappresenta una delle opere pittoriche più rilevanti della Città del Vaticano e ritrae cinquantotto noti filosofi e matematici dell’antichità mentre conversano fra loro. La Scuola di Atene celebra la conoscenza umana, indicando nel dialogo e nel confronto le più alte forme del sapere. Conoscere significa, infatti, saper abbracciare idee anche distanti, confrontarsi con il pensiero eretico, avere la capacità di dialogare con chi la pensa diversamente da noi”.

L’Intelligence, al pari di questo affresco, esalta la ricerca razionale,  la facoltà dell’anima di conoscere il vero attraverso le informazioni più rilevanti. “Ci sprona a unire i punti dispersi, a contestualizzare i dati e a cogliere i segnali deboli. Ci incoraggia a esercitare il pensiero critico e a cambiare opinione quando necessario, difendendo la democrazia da se stessa, dalle sue degenerazioni“.

Aristotele, nel quarto secolo a.C., sosteneva che ogni sistema di governo inevitabilmente degenera: la monarchia in tirannia, l’aristocrazia in oligarchia e la democrazia in demagogia. “Oggi lo chiamiamo populismo, ma è la stessa cosa. L’Intelligence ci spinge a prevenire fenomeni negativi come la criminalità organizzata, particolarmente attiva anche nel settore della ristorazione “.

Non possiamo, infatti, dimenticare che, già nel 2005, il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, parlando della holding criminale del settore, la definiva “la più grande catena di ristoranti in Italia: conta almeno 5mila locali, 16mila addetti e fattura più di un miliardo di euro l’anno”.

La legittimazione di queste organizzazioni “svaluta la democrazia e il nostro futuro, e ci chiede di contrastare tutte le minacce, incluse quelle legate all’alimentazione e alla contraffazione del cibo, poiché la sicurezza nazionale passa anche attraverso la sicurezza alimentare“.

Nutrire la mente per sfamare il mondo

Il cibo è legato ai cinque sensi, una dimensione umana politicamente rilevante che si espande fino a diventare globale e, di conseguenza, geopolitica.

Nel saggio Geopolitica del cibo. Una sfida per le grandi potenze (Rizzoli), Giancarlo Elia Valori definisce il cibo “nuovo petrolio” mentre la terra “nuovo oro“. Valori spiega come le materie prime alimentari condizionino gli equilibri mondiali.

Caligiuri, citandolo, ricorda che con l’aumento della popolazione previsto nel prossimo decennio – attualmente siamo 8 miliardi, nel 2050 supereremo i 9 e a fine secolo sfioreremo gli 11 – si profilano enormi sfide alimentari e idriche. Parlare di sovranità e sostenibilità alimentare deve quindi essere una necessità e un impegno urgente“.

La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, definisce l’alimentazione sostenibile come un’alimentazione a ridotto impatto ambientale che soddisfa le linee guida nutrizionali dal punto di vista economico, dell’accessibilità e dell’accettabilità culturale. La  sovranità alimentare è invece il diritto dei popoli sia ad alimenti nutritivi e culturalmente congrui, sia alla possibilità di decidere il sistema alimentare e produttivo sintonico, allineato con le risorse e le preferenze delle comunità di riferimento.

“A tal proposito – prosegue il relatore – si delineano due fenomeni: da una parte un miliardo di persone che muore di fame, dall’altra un miliardo di obesi. Questo scenario crea un terreno limaccioso in cui emergono patologie legate alla malnutrizione, alla scorretta alimentazione e ai disturbi della nutrizione caratterizzati da comportamenti disfunzionali”.

L’agrifood ha dunque un impatto significativo sull’ambiente e sulla salute umana. Attorno ai beni alimentari si sviluppano interessi di proporzioni gigantesche con “multinazionali del cibo, come Monsantoazienda statunitense di biotecnologie agrarie, fondata nel 1863 e acquisita nel 2018 dal colosso farmaceutico tedesco Bayer – accusate di condurre attività di disinformazione manipolando le percezioni delle persone.

Un aspetto sempre più studiato è il potere cognitivo del cibo, che riguarda la percezione gastronomica umana, oggetto di interesse di discipline come il neuromarketing, la neuroeconomia e la psicologia comportamentale. Charles Spence ha coniato il termine gastrofisica per descrivere una nuova scienza che unisce la gastronomia alla psicofisica, con l’obiettivo di indagare e comprendere ciò che influenza i comportamenti delle persone.

Le spezie spiegano dinamiche economiche e rapporti di forza tra le nazioni

L’attenzione si sposta poi sulle spezie che oggi portano in tavola un pizzico di Rinascimento: pepe, cannella, chiodi di garofano, canfora, zenzero, cardamomo e noce moscata.

“Nell’Europa tra il ‘400 e il ‘600, età delle grandi scoperte geografiche – commenta Caligiuri -, le spezie erano più preziose dell’oro, così preziose che le maggiori potenze marinare e commerciali si disputavano il controllo della loro produzione e del commercio arrivando a combattere vere e proprie guerre“.

Nel libro L’isola della Noce moscata (Rizzoli), Giles Milton – basandosi su giornali di bordo e documenti dell’epoca – narra la storia della sanguinosissima lotta anglo-olandese per il possesso delle sperdute isole nel Mar di Banda, una decina di atolli dell’arcipelago delle Molucche (indonesia) all’epoca le uniche in cui cresceva la varietà più pregiata dell’albero della noce moscata e del macis, la Myristica fragrans. La noce moscata era usata per conservare e insaporire cibi ma anche come rimedio.  I medici della Londra elisabettiana ritenevano che le palline di noce moscata fossero l”unico espediente contro la morte nera: la peste. La maledizione della noce moscata, romanzo dello scrittore indiano Amitav Ghosh, ripercorre la dolorosa storia di conquista e sfruttamento dell’uomo sull’uomo – e dell’uomo sulla natura -enumerando le conseguenze riverberatesi fino ai giorni nostri giorni.

Novel food

I cibi alternativi – a base di farina d’insetti ma anche carne in vitro e pasta di microalghe – rappresentano oggi la nuova frontiera alimentare: un aiuto al cambiamento climatico e all’impatto umano sul pianeta, producendo meno gas serra e ammoniaca e consumando molta meno acqua rispetto alle specie di bestiame addomesticato.

“Del resto – argomenta Caligiuri – non ci sono abbastanza risorse per sfamare tutta l’umanità. Già negli Anni Settanta un illuminato imprenditore, Aurelio Peccei, tra i fondatori nel 1968 del Club di Roma, parlava di limiti dello sviluppo e insisteva sul fatto che l’uomo, e soltanto l’uomo, avrebbe potuto trovare una via d’uscita alla trappola in cui l’umanità si trova. E per riuscirci, doveva individuare un nuovo umanesimo e scoprire il suo ruolo nel palcoscenico globale.

Nel 1976, nel suo saggio La qualità umana (Mondadori), Peccei scriveva: “A mio vedere, le cose che occorrono sono a un tempo facili e difficili oltre non dire: occorre, da un lato, che tutti abbiano istruzione e lavoro e, dall’altro, che ciascuno diventi più adatto a vivere nel nostro tempo. Non è saggio né utile limitarsi ad affermare che si tratta di obiettivi impossibili, che il problema, così come è proposto, è un problema senza soluzione. Perché non c’è altra strada che possa offrire all’umanità la possibilità di uscire dalla china precipitosa in cui si è cacciata – e di ciò bisogna convincerci – questo cammino, pur così arduo, deve essere esplorato”.

Ecco perché l’Intelligence riconosce il cibo come fattore chiave da indagare per suggerire al decisore politico strategie efficaci.

Cibo e spy stories, gli aspetti nascosti delle relazioni internazionali

Per Caligiuri “il cibo è spesso centrale nelle trame dei romanzi di spionaggio, fungendo da cifra caratteriale e catalizzatore d’azione per i protagonisti”. Elemento di sopravvivenza e riflesso dei valori umani, “esso rivela aspetti nascosti delle relazioni internazionali e delle dinamiche sociali”.

A tal proposito cita il saggio di Umberto Broccoli, SPIEdi. Cibo e Servizi Segreti (Nuova Argos) a cui accostiamo, per completezza di informazione, quello di Paolo Sellari, Geopolitica, intelligence, alimentazione (Nuova Argos). Un testo, quest’ultimo, dove appare chiaramente come l’Intelligence sia chiamata ad affrontare le sfide alimentari, non solo per prevederne l’evoluzione ma per influenzare le decisioni delle autorità mondiali, promuovendo modelli di governance che valichino gli interessi dei singoli a favore del bene comune.

Plus est hominem extinguere veneno, quam occidere gladio

Nella letteratura investigativa il cibo rende i personaggi più vividi e la ghiottoneria è “curiosità della bocca” . In un articolo datato 1948, dal titolo La parrocchia del delitto. Considerazioni di un drogato del giallo, il poeta Wystan Hugh Auden scrive: “Il detective dilettante e geniale può concedersi delle debolezze che gli conferiscano un maggior interesse estetico, purché non siano mai lesive dell’etica. Le debolezze più idonee sono i solitari vizi orali come il mangiare o il bere, oppure una certa millanteria infantile.

Ed ecco allora Andrea Camilleri trasmettere geneticamente al commissario Montalbano la sua passione per le prelibatezze siciliane. E Nero Wolfe, l’investigatore creato da Rex Stout, mostrarsi cedevole di fronte alle salsicce di mezzanotte, alle crocchette di castagne e alla torta di mele. O Sherlock Holmes, costretto dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle a essere sensibile al richiamo di ostriche e uova strapazzate. E ancora, il commissario Maigret, indotto da George Simenon a prediligere le specialità tradizionali francesi ed Hercule Poirot, detective dal palato raffinato, costretto ad aderire alle fantasie letterarie di Agatha Mary Clarissa Miller – alias Agatha Christie -, e abbandonarsi al piacere sublime del cioccolato e della Crème de Cassis

Il relatore si sofferma quindi sui veleni, sostanze che per la Lady dell’Impero “hanno un certo fascino”, tant’è che la morte per avvelenamento è più frequente nei suoi romanzi di quanto non lo sia nelle opere di qualsiasi altro scrittore di gialli. Trenta vittime e una straordinaria varietà di tossine e veleni, tutti descritti scientificamente – dalla stricnina al cianuro, dall’arsenico al tallio, passando attraverso la conina, l’aconito, la belladonna e la morfina – protagonisti di omicidi eccellenti che hanno cambiato il corso della Storia.

Georges Minois, autore del saggio Il pugnale e il veleno – L’assassinio politico in Europa (Utet), scrive: “Il veleno è l’arma di chi si muove nell’ombra e vuole nascondere la sua responsabilità”.

Dunque, se chi uccide con il pugnale o con la spada “lo fa pubblicamente, rivendicando i motivi dell’atto violento” l’avvelenamento è considerato nella storia “un mezzo vile, utilizzato da chi agisce per motivi abietti e in nome di una causa ingiustificabile”. Come dimostra la legge romana, risalente all’imperatore Antonino Pio (II sec. d.C.):  Plus est hominem extinguere veneno, quam occidere gladio (E’ più grave uccidere un uomo con il veleno che con la spada).

Nel Digesto, raccolta di pareri e decisioni di giuristi romani voluta dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo, si legge: “Qui venenum dicit, adicere debet, utrum malum an bonum: nam et medicamenta venena sunt, quia eo nomine omne continetur, quod adhibitum naturam eius, cui adhibitum esset, mutat“. (Chi dice veleno deve aggiungere cattivo o buono; invero anche i medicamenti sono veleni, poiché con tal nome si comprende tutto quello che, applicato, modifica la natura di ciò a cui si applica).

Il che, chiarisce bene anche il pensiero di Paracelso“Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno: è la dose che fa il veleno” – secondo cui nessuna sostanza possiede una connotazione intrinsecamente dannosa o innocua: è piuttosto l’intento e il modo con cui viene impiegata a determinarne la natura.

Nell’ultimo secolo, il primato assoluto, per quanto attiene gli avvelenamenti politici, spetta alla Russia: una tradizione che connette zar e bolscevichi e che oggi è la cifra distintiva del regime di Vladimir Putin, ex-uomo del KGB e poi direttore dell’FSB, ai vertici del potere da 23 anni. Dal suo insediamento al Cremlino la lista di omicidi o tentati omicidi di oppositori tramite contaminazione si è tristemente allungata. L’ultimo in ordine di tempo risalirebbe al mese scorso e riguarderebbe Aleksej Naval’nyj (Navalny) attivista e politico, deceduto in circostanze poco chiare nella colonia penale di Kharp, nell’Artico russo, dove era stato trasferito nel dicembre 2023.

E’ possibile rivedere l’evento seguendo il link https://youtu.be/GA3K-H1CcJE

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