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La geopolitica della mente nell’era della globalizzazione. Riflessioni dal convegno di Palermo

Mario Caligiuri

“Grazie al mio maestro Giorgio Galli, che mi ha introdotto al concetto delle coincidenze significative, ho individuato 7 elementi di convergenza che mi hanno guidato fino a Palermo”.

Con queste parole Mario Caligiuri – presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) nonché direttore del Master in Intelligence e ordinario di Pedagogia all’Università della Calabria (UNICAL) – apre il suo intervento al convegno La globalizzazione e le sfide emergenti all’Intelligence, nell’aula magna secentesca del Liceo scientifico statale Benedetto Croce, l’antico Spedale dei Benfratelli.

Prima di addentrarsi nei temi principali, Caligiuri traccia una premessa che, non solo onora la memoria del politologo e storico Giorgio Galli, scomparso nel 2020, ma illustra anche le motivazioni di questo suo viaggio.

Sfruttando il simbolismo del numero sette, ottenuto dall’unione del tre con il quattro, il professore evoca un’antica tradizione che attribuisce a questo numero rilevanza mistica. Secondo Ippocrate, infatti, “Il sette mantiene nell’essere tutte le cose; esso è dispensatore di vita, di movimento ed è determinante nell’influenzare gli esseri celesti”: Sette sono i giorni della settimana, sette le virtù e i Sacramenti, sette le note musicali e sette le sfumature cromatiche dell’arcobaleno che l’uomo riesce a percepire.

Questa riflessione, sul concetto di coincidenze significative, ispirata alla teoria della sincronicità di Carl Gustav Jung, suggerisce un’interpretazione della realtà basata su connessioni intrinseche anziché su relazioni di causa-effetto. “Eventi schierati attorno a un centro”, il cui significato si rivela attraverso il tentativo di interpretare un tangibile, sempre più complesso e sfuggente, rispetto ai canoni della contingenza.

Al centro del suo intervento si collocano le tematiche affrontate nel volume Geopolitica della mente. L’Intelligence nel campo di battaglia definitivo (Mazzanti), volume che richiede un approccio trasversale, un “lavoro di Intelligence”.

Caligiuri richiama una espressione nota, “spirito del tempo“, che denota la tendenza culturale predominante di un’epoca, un concetto elaborato da Georg Wilhelm Friedrich Hegel che enfatizza l’importanza di comprendere il contesto nel quale ci è capitato di vivere per decodificare il mondo circostante.

“Viviamo – afferma il docente – in un’epoca di globalizzazione, caratterizzata da una crescente interconnessione, ma anche da un pensiero debole e frammentato”. Essenziale, quindi, “confrontarsi con lo spirito del tempo che si manifesta oggi in uno scontro di intelligenze: nella disputa tra intelligenza umana intelligenza artificiale”.

La recente approvazione del Regolamento sull’Intelligenza Artificiale, il cosiddetto AI Act, da parte del Parlamento europeo, rappresenta un primo tentativo di normare questo settore. Tuttavia, secondo Caligiuri, tale approccio appare inadeguato “poiché cerca di disciplinare un fenomeno in continua evoluzione, risultando così superato rispetto agli approcci adottati da Stati Uniti e Cina”. Egli sostiene, invece, l’importanza di un approccio proattivo che guidi e orienti il fenomeno anziché limitarsi a regolarlo.  

“Stiamo assistendo a un cambiamento paradigmatico senza precedenti, che rende obsoleti parole, concetti e categorie culturali. È una questione aperta e controversa” dichiara il professore.

A tal proposito, cita Federico Faggin, padre del microprocessore, e Alan Turing, geniale matematico che, durante la Seconda guerra mondiale, riuscì a decifrare le trasmissioni di Enigma, la macchina utilizzata dalle forze armate tedesche: “Se Faggin ritiene che nessuna macchina potrà mai replicare l’umano, Turing contempla la possibilità che le macchine sviluppino un giorno una forma di coscienza autonoma“. Mentre Raymond Kurzweil parla di singolarità per indicare il momento in cui le IA – divenute supersviluppate e indipendenti, il 2045 ipotizza – saranno in grado di abitare e comandare il mondo.

Ma tutto questo come influenzerà le nostre vite, tenuto conto che siamo pure immersi – e lo spiega bene Elizabeth Kolbert, premio Pulitzer 2015 – nella sesta estinzione di massa?

Il dibattito sull’intelligenza artificiale è permeato di incertezze, principalmente a causa della mancanza di consapevolezza riguardo alle sue implicazioni.

“Sebbene l’uomo abbia acquisito una ‘coscienza nucleare‘, così come Norberto Bobbio definiva la comprensione delle conseguenze dell’uso delle armi nucleari – spiega Caligiuri – tale consapevolezza non si estende all’IA. Mentre le bombe atomiche sono sotto il controllo degli Stati, l’IA è nelle mani dei privati, il che cambia radicalmente lo scenario. Giorgio Caproni, nel Proverbio dell’egoista, profetizza Morto io/morto Dio”, un epigramma calzante poiché ci ricorda che, senza una visione del futuro, non vi sarà stimolo capace di irritare le coscienze e formare alla consapevolezza.

Nel 1956, Günther Anders scrisse L’uomo è antiquato (Bollati Boringhieri) mettendo in luce il divario crescente tra l’uomo e la tecnologia, accentuato dall’avvento della bomba atomica. Anders parla di“vergogna prometeica”, senso di “dislivello” tra l’uomo e le sue creature meccaniche pronte a superarlo facendolo sentire “antiquato”. Macchine perfette e replicabili, dotate di una eternità artificiale che genera rivalità e competizione disuguale portando l’uomo a invertire mezzi e fini. “Una prospettiva che evidenzia la mancanza di consapevolezza nel valutare le conseguenze delle proprie azioni”.

Viviamo in un’epoca caratterizzata da una diffusa disinformazione: spesso la realtà e la percezione pubblica della stessa si trovano su piani contrapposti.

Marshall McLuhan, in un discorso del 1966, utilizzava un aforisma assai noto: “Ciò di cui i pesci non sanno nulla è dell’acqua in cui nuotano”.

Questo concetto, secondo Caligiuri, si applica anche a noi, vertebrati d’acqua inconsapevoli, intrappolati nella rete della misinformazione, appesi all’amo delle fake news.

La minaccia, tuttavia, è nei fondali quasi mai sulla superficie dell’acqua. A contaminare irrimediabilmente l’ecosistema della comunicazione è la disinformazione profonda, orchestrata da stati e multinazionali.

Nella raffinata analisi Il golpe invisibile (Kaos), Giorgio Galli richiama il concetto di Postdemocrazia di Colin Crouch e rivela come, nonostante gli aspetti formali della democrazia persistano, i centri di decisione sfuggono al controllo dei cittadini.

Régis Debray, nel saggio Lo stato seduttore (Editori Riuniti), mette in risalto il potere della comunicazione politica attraverso la figura di Jacques Séguéla, il pubblicitario responsabile della campagna elettorale perfetta con cui “seppe trasformare un vecchio arnese della quarta Repubblica, il socialista François Mitterrand, in una persona affidabile per i francesi”. Quella campagna è stata caratterizzata da due elementi: uno slogan persuasivo, “La force tranquille”, e una demarcazione netta tra contesto politico e contesto pubblicitario. Mitterrand e Séguéla avevano chiare le rispettive missioni: per Séguéla, coniare slogan e proporre strategie comunicative ma non scrivere o influenzare il programma; per Mitterrand, essere disposto a fare di sé “una pagina di pubblicità”, nè più, nè meno di un dentifricio o – per usare le parole di Caligiuri – “dei Rotoloni Regina o della pasta Barilla”.

In guerra la verità è la prima vittima” è una massima attribuita a Eschilo, drammaturgo ateniese del V secolo a.C. Lo storico Tucidide, nel suo capolavoro sulla guerra del Peloponneso, annota che gli avversari “cambiano a piacimento il significato consueto delle parole in rapporto ai fatti”. E Tacito, nel De Agricola, fa pronunciare al generale Calgaco, re dei Caledoni, la frase: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” ovvero “dove fanno il deserto, lo chiamano pace”. Pensieri di cui oggi abbiamo manifestazione evidente in contesti diversi.

La disinformazionechiarisce Caligiuri – pur essendo un’arma in uso fin dall’antichità, rappresenta un’emergenza educativa e democratica del nostro tempo che si manifesta attraverso la sovrabbondanza di informazioni e il basso livello di istruzione. Un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla percezione della realtà, concetto già esplorato da Platone nella sua allegoria della caverna”.

Ma che cosa si intende, invece, con il termine geopolitica?

“La geopolitica così la definisce la rivista Limes –analizza conflitti di potere in spazi determinati. Per questo incrocia nel suo ragionamento competenze e discipline diverse. Non è scienza: non possiede leggi, non dispone di facoltà predittive. È studio di casi specifici, per i quali è necessario il confronto fra le diverse rappresentazioni dei soggetti in competizione per un dato territorio, su varie scale e in differenti contesti temporali, e fra i rispettivi progetti, tutti ugualmente legittimi. Per ciò stesso, il ragionamento geopolitico è dinamico, perché si svolge nello spaziotempo, e nient’affatto limitato alle guerre ma estendibile a dispute politico-amministrative”.

“La geopolitica – esemplifica Caligiuri – serve a cogliere le forze che muovono la storia e l’attualità e si basa su più teorie. Una di esse sostiene che chi controlla i mari controlla il mondo. Un’altra suggerisce che il controllo del centro della terra conferisce il dominio globale. Infine, c’è la teoria secondo cui chi controlla l’aria controlla il mondo. Oggi, con l’avvento del cyberspazio, si è aperto un nuovo fronte: il controllo della mente delle persone, campo di battaglia definitivo. Nel 2030 saremo tutti interconnessi, la privacy sarà un concetto obsoleto e la violazione della sicurezza informatica diventerà una minaccia ancor più pericolosa”.

Partendo dal fatto di trovarsi in Sicilia, Caligiuri richiama la figura di Giovanni Gentile: “Il centenario della sua riforma scolastica evoca un’epoca di trasformazione, quando l’Italia, risorgendo dalle macerie della guerra, si elevò a potenza industriale. Tuttavia, l’analisi odierna evidenzia gli effetti nefasti delle politiche educative successive al ’68. Le parole di Aldo Moro, che ci ammonivano circa il rischio di peggiorare, si sono rivelate autentiche: le riforme hanno aggravato un quadro già sfavorevole, colpendo in modo particolare le famiglie a basso reddito e costringendo i meno fortunati a scelte obbligate, con  la criminalità e l’arte della sopravvivenza come uniche alternative”.

Urge, quindi, rialzare l’asticella del sistema educativo, soprattutto a vantaggio di coloro partono da posizioni di inferiorità. Un precetto non nuovo, poiché Karl Marx già sosteneva che “ad aver bisogno dello Stato sono soprattutto i poveri”.

L’Intelligence, strumento educativo imprescindibile, è per Caligiuri una necessità sociale. Serve a difendere le persone dall’influenza degli algoritmi e della propaganda, consentendo loro di prendere decisioni consapevoli e vantaggiose. Le aziende ne fanno uso per fronteggiare la globalizzazione sempre più competitiva, mentre gli Stati la impiegano per garantire il benessere e la sicurezza dei cittadini in un mondo segnato da minacce esterne e interne, tra cui spicca il problema delle mafie“. Mafie che la tecnologie e l’automazione – così come raccontano Nicola Gratteri e Antonio Nicaso nel loro ultimo libro Il Grifone (Mondadori) – “hanno reso sempre più ibride, felssibili, capaci di operare online e offline, sempre più in bilico tra realtà analogica e virtualità digitale. Vere e proprie holding hi-tech“.

La mondializzazione, quindi, sebbene abbia favorito lo sviluppo economico, ha anche alimentato la criminalità: “Il ventunesimo secolo sarà caratterizzato da una lotta intestina tra Stati legali e poteri irregolari, in particolare nel contesto digitale, dove la linea tra legale e illegale è spesso sfumata. Lo scontro tra diversi sistemi di governo, come osservato nel conflitto tra Russia e Ucraina, richiama l’attenzione sulla necessità di comprendere e affrontare le criticità in modo intellettualmente onesto, senza chiusure ideologiche. Nell’era delle macchine, è altamente probabile che una parte consistente del lavoro umano sia sostituita dalla tecnologia, mettendo in discussione principi fondamentali della nostra Costituzione“.

Non è possibile anticipare con certezza le sfide che il futuro ci riserverà, ma è essenziale essere preparati ad affrontarle. Ecco allora che l’educazione all’incertezza teorizzata da Edgar Morin diventa vitale.

René Guénon, intellettuale irregolare del mondo moderno, nel saggio I simboli della scienza sacra (Adelphi) scrive: “La civiltà moderna appare nella storia come una vera e propria anomalia: fra tutte quelle che conosciamo essa è la sola che si sia sviluppata in un senso puramente materiale, la sola altresì che non si fondi su alcun principio d’ordine superiore. Tale sviluppo materiale, che prosegue ormai da parecchi secoli e va accelerandosi sempre più, è stato accompagnato da un regresso intellettuale che esso è del tutto incapace di compensare”.

I social media e Internet non sono altro che l’ultimo miglio di un processo iniziato secoli fa.

Da dove ripartire per non gettare tutto alle ortiche?

Arnold J. Toynbee, lo storico britannico autore del volume Le civiltà nella storia (Einaudi), sosteneva che ogni cambiamento è stato guidato da minoranze creative”.

Costruire minoranze creativeconclude Caligiuri – potrebbe quindi offrire una possibilità, ma dobbiamo essere disposti ad affrontare l’imprevisto, tener testa all’inatteso e reggere l’incerto”. Concetto che risuona con le parole di Martin Luther King: “la salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti”.

SICILIA SERA – Il giornalista Filippo Cucina dialoga con Mario Caligiuri

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