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Il TALENTO come frontiera strategica

Il talento non è più una questione pedagogica. È una sfida geopolitica.

L’identificazione e la gestione del potenziale cognitivo superiore – oggi marginalizzata nella scuola e sottovalutata dalla politica – si rivelano sempre più come un nodo per la sopravvivenza umana in un ecosistema dominato dall’Intelligenza Artificiale.

A sostenerlo, da anni, è Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e professore ordinario di Pedagogia della Comunicazione all’Università della Calabria dove dirige il Master in Intelligence.

“L’Italia, in ritardo rispetto ai partner europei, tenta ora di rimediare con una proposta di legge per il riconoscimento degli alunni plusdotati – osserva Caligiuri -. Ma più della norma in sé, ciò che davvero conta è la visione che la ispira: se il talento non viene coltivato, rischia di indebolirsi. Se viene ignorato, si perde. Se viene addestrato senza visione, o sfruttato senza un progetto, può trasformarsi in un ingranaggio passivo al servizio del potere digitale”.

Spesso immaginiamo il talento come un dono. Ma, se non riconosciuto, può trasformarsi in disadattamento. Nella scuola italiana migliaia di bambini e adolescenti ad alto potenziale cognitivo – i plusdotati, appunto – vivono una condizione invisibile: pensano troppo, sentono troppo, apprendono in modo diverso. Eppure, si annoiano, si isolano, falliscono.

Nonostante la loro mente corra veloce, spesso restano indietro.

Gli studenti plusdotati sono circa 430 mila, pari al 5% della popolazione scolastica italiana: “nella maggior parte dei casi, questi alunni seguono gli stessi piani didattici degli altri, senza alcuna personalizzazione né strumenti adeguati al loro profilo cognitivo. L’Italia è uno dei pochissimi Paesi europei a non aver recepito le indicazioni dell’Ue sulla tutela delle eccellenze cognitive“.

Dopo mesi di audizioni, la Commissione Cultura del Senato ha concluso l’esame degli emendamenti, avvicinando il testo all’approvazione in Aula. Il disegno di legge introduce l’identificazione precoce degli studenti ad alto potenziale, piani didattici flessibili, la possibilità di anticipare classi o approfondire discipline, e prevede l’istituzione della figura del referente scolastico per la plusdotazione. Quest’ultimo dovrà seguire una formazione specifica, come del resto tutti gli insegnanti coinvolti. Inoltre, un esame dedicato diventerà obbligatorio nei corsi universitari di Psicologia, Scienze della Formazione, Lettere, Matematica e Servizio Sociale.

Il confronto con i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) o i deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è inevitabile: “Gli alunni con queste difficoltà – chiarisce Caligiuri – godono di attenzione normativa. La plusdotazione, invece, è rimasta per troppo tempo ignorata“.

Nel 2019, con la Nota Ministeriale n. 562 del 3 aprile, il MIUR (Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca) ha riconosciuto i Gifted children come BES, cioè con bisogni educativi speciali. La proposta di legge in discussione introduce ora il riconoscimento formale della plusdotazione, ma la vera sfida è sul piano strategico.

Secondo Caligiuri, la plusdotazione rappresenta uno snodo evolutivo. In un mondo in cui l’IA sostituisce l’uomo in compiti sempre più sofisticati, studiare i meccanismi del pensiero diventa essenziale per preservare ciò che rende l’umano irriducibile. Non si tratta solo di educare all’eccellenza, ma di difendere l’intelligenza umana dalla sua marginalizzazione.

Chi sono, dunque, i plusdotati?

Una minoranza neurodivergente con un funzionamento cognitivo intensissimo e disarmonico. Un QI superiore a 130 non basta a definirli: sono ipersensibili, emotivamente vulnerabili, cognitivamente esigenti. Spesso vengono scambiati per bambini oppositivi, distratti, immaturi. Ma la loro inquietudine nasce da un sistema che li inquadra in un modello formativo rigido, uniforme, incapace di accogliere la complessità.

Una condizione che non si risolve con la crescita: molti adulti plusdotati vivono vite disfunzionali, relazioni fragili, professioni intermittenti. Faticano a trovare un senso nel mondo lineare che li circonda. Il loro pensiero è associativo, divergente, sovradimensionato. Spesso si convincono di essere sbagliati.

“La legge in discussione potrebbe rappresentare un primo passo. Servono però visione, consapevolezza e coraggio. Il talento non può essere gestito con strumenti ordinari. Richiede scuole flessibili, docenti formati, percorsi adattivi. Ancora di più, serve una cultura capace di accogliere ciò che oggi teme o non comprende, avverte Caligiuri.

Il rischio è duplice: da un lato, perdere le intelligenze che potrebbero guidarci nella transizione digitale; dall’altro, generare nuove disuguaglianze cognitive, dove pochi potenziati orientano il mondo e molti restano passivi fruitori del pensiero altrui. Non dimentichiamo, peraltro, che la plusdotazione è molto presente nelle classi sociali umili, dunque a pagare il prezzo più alto sono – ancora una volta – i “figli” delle famiglie meno abbienti che non possono permettersi la formazione elitaria.

In questa frattura si gioca la partita tra umanità e algoritmi.

Giuseppe Valditara

Il Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, si è espresso sulla questione evidenziando sia la necessità di un percorso scolastico ad hoc sia l’importanza di formare insegnanti specializzati e prevedere un sistema di tutoraggio per supportare questi studenti. 

Ma chi educa oggi i plusdotati? E soprattutto: per quale futuro li stiamo preparando?

Un aspetto marginale nel dibattito pubblico, seppure di grande importanza, riguarda il tipo di intelligenza che la scuola riconosce e valorizza. I programmi didattici italiani, fin dalla primaria, premiano l’intelligenza convergente: quella che risolve i problemi stando all’interno dei parametri dati. I plusdotati, invece, agiscono spesso attraverso un’intelligenza divergente, capace di ribaltare le premesse stesse del problema, come fece Copernico. Mentre il sistema scolastico celebra la flessibilità generica, cioè la competenza distribuita su tutte le materie, i plusdotati esprimono una intelligenza inclinata, fortemente specializzata, ignorata o penalizzata da test e valutazioni standard. In una classe numerosa, con venticinque o trenta alunni, è quasi impossibile cogliere le singolarità cognitive ed emotive. Per accompagnare percorsi come quelli dei plusdotati – ma anche per educare davvero ogni allievo – servirebbero classi più piccole e un maggior numero di docenti.

L’attuale organizzazione scolastica, figlia di modelli anni Cinquanta, è anacronistica e rinuncia a sviluppare quelle intelligenze che potrebbero diventare capitale strategico per il Paese.

Un sistema che non sa distinguere tra genialità e disturbo, che confonde la profondità con l’oppositività, è un sistema che non crede nel futuro.

“I plusdotati – chiosa Caligiuri – non riguardano solo la scuola o la famiglia. C’è in gioco la tenuta della democrazia, l’architettura della cittadinanza, il destino della libertà. In un’epoca di potenziamento tecnologico, investire sull’intelligenza naturale più complessa è un atto di lungimiranza geopolitica”.

Riconoscere il talento come risorsa strategica è condizione imprescindibile per costruire un’intelligenza pubblica all’altezza delle sfide del nostro tempo. Un’intelligenza capace di difendere la dimensione umana, critica e creativa del pensiero e di riaffermare il diritto della collettività a pensare a se stessa non in modo meccanico, ma progettuale e responsabile. E’ questo, in ultima analisi, ciò che distingue una società intelligente da una semplicemente automatizzata.

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