L’ombra di Churchill sull’Italia repubblicana
Strategie di influenza, operazioni coperte, azioni occulte di destabilizzazione. Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella ricostruiscono, nel libro-inchiesta La maledizione Italiana (Fuoriscena), il disegno britannico per ostacolare la sovranità dell’Italia nel Mediterraneo del secondo dopoguerra.
C’è una costante, inquietante e tenace, che attraversa la storia dell’Italia unita: la delegittimazione sistematica di ogni statista deciso ad articolare in modo autonomo l’interesse nazionale. Giovanni Fasanella la chiama “maledizione italiana”: una condanna che, da Cavour a Moro, colpisce chiunque tenti di produrre una visione strategica dell’Italia come attore consapevole sulla scena internazionale, in particolare in Africa, nel Mediterraneo e in Medio Oriente, aree considerate a lungo riserva esclusiva delle potenze coloniali francese e britannica.

Questo è il cuore del libro-inchiesta – La maledizione italiana (Fuoriscena, 2025) – firmato da Mario José Cereghino con Fasanella, ultimo tassello di un’indagine decennale condotta negli archivi britannici. Un lavoro basato su documenti ufficiali declassificati di Kew Gardens, Londra. Al centro della ricostruzione, una figura emblematica: Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio in otto governi di coalizione consecutivi, dal dicembre 1945 all’agosto 1953.

La tesi, avanzata dagli autori, si poggia anche sull’archivio privato di Giulio Andreotti – testimone diretto degli anni della ricostruzione in quanto Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei governi degasperiani. Andreotti che, il 6 febbraio 1970, nel suo diario annota: “[…] Il Mondo mi dedica un’intera pagina. C’è una cosa non vera che mi colpisce particolarmente: si parla genericamente di atti che avrei compiuto nel 1953 contro De Gasperi, nei confronti del quale – al contrario – io non mi sono mai trovato in una posizione meno che riguardosa e affettuosa”.
Il 1953 è stato un anno difficile. Lo rivela una lettera che lo stesso Andreotti invia a De Gasperi il 5 settembre: il grande statista è appena uscito di scena, morirà un anno dopo, a 73 anni. Andreotti, a 34 anni già sottosegretario a Palazzo Chigi, è disorientato dalla parabola del suo maestro. Gli scrive da Montecatini, dove si trova “per eliminare un po’ di stanchezza”, per dirgli che nella DC “non ci sono dieci uomini che contino che tra di loro si vogliano veramente bene” e per comunicargli che “spesso medito sull’utilità di abbandonare la vita politica”.
Ma facciamo un passo indietro.

L’Italia del dopoguerra cerca di uscire dalla prostrazione investendo sull’energia, sulla diplomazia multilaterale e su un rinnovato protagonismo nel Mediterraneo. Un disegno incarnato da figure come De Gasperi ed Enrico Mattei. Ed è proprio questa postura a renderli bersagli di una reazione anglosassone dura, sotterranea e prolungata.
“Winston Churchill – esordisce Fasanella – considera l’Italia una potenza sconfitta e subordinata, da tenere sotto tutela esercitando un controllo politico pressoché assoluto. L’Italia, che tra il ’44 e il ’54 si riorganizza come Repubblica parlamentare, non rientra nei piani britannici”.
Il 5 marzo 1946, Churchill pronuncia al Westminster College di Fulton (Missouri) il discorso I muscoli della pace, passato alla storia come il Discorso della Cortina di ferro. Il mondo è una distesa di macerie e l’Europa è già divisa tra le zone di influenza sovietica a est e anglo-americana a ovest. L’alleanza bellica tra Unione Sovietica e democrazie occidentali sta franando, dando inizio alla guerra fredda: un conflitto a bassa intensità che durerà quarant’anni senza mai sfociare in scontro diretto. Le tensioni internazionali sono acute: è in corso la crisi dell’Azerbaigian per il controllo delle risorse petrolifere, mentre in Grecia divampa una guerra civile che oppone le due superpotenze. Un anno dopo, il Presidente americano Harry S. Truman, risponde con la “dottrina del contenimento” per fermare l’espansione sovietica ovunque nel mondo. Churchill oratore di straordinaria efficacia, sottolinea il ruolo dell’ONU che ha sostituito la Società delle Nazioni – con l’adesione americana – nella gestione delle crisi internazionali. Ma il “mondo libero” che egli difende, è già spaccato in due blocchi contrapposti.
“In questo scenario bipolare – prosegue Fasanella – De Gasperi stipula un compromesso costituzionale democratico con il Partito Comunista di Palmiro Togliatti che porta alla Costituzione e alla Repubblica creando le condizioni per la pacificazione nazionale. Guida l’Italia nell’Alleanza atlantica, pretende e ottiene un seggio all’ONU, avvia con Robert Shuman e Konrad Adenauer il processo di integrazione europea, promuove il coinvolgimento italiano nei piani di difesa del Medio Oriente”. Tutte mosse che rafforzano la coesione interna e proiettano l’Italia come soggetto credibile sul piano internazionale.

La Gran Bretagna ha però un’agenda diversa: “Sostiene la continuità monarchica, promuove il riciclo della filiera anglofila del vecchio regime – inclusa la versione edulcorata del fascismo – guarda con favore all’eliminazione fisica dei comunisti e si oppone alla presenza italiana negli organismi multilaterali, temendo un incremento dell’autonomia e del prestigio”.
A pesare è anche l’asse privilegiato Roma-Washington. De Gasperi è convinto che, sotto l’ombrello statunitense, l’Italia può guadagnare margini di manovra, sottraendosi al controllo britannico. “Rapporto che si inserisce perfettamente nella strategia americana di lungo periodo orientata a superare i vecchi imperi coloniali dell’Ottocento e a costruire nuovi equilibri”. In questa visione, l’Italia repubblicana rappresenta un utile contrappeso a Francia e Gran Bretagna nello scacchiere mediterraneo e mediorientale.

Sono anni di intenso sviluppo. Nell’intervento alla Camera dei Comuni di Londra, il 15 marzo 1951, De Gasperi comunica con soddisfazione che “la produzione di energia elettrica è in aumento”. Ed è in questo periodo che si formano personalità imprenditoriali a lui vicine, come il commissario straordinario dell’Agip Mattei.
Sempre, nel 1951, con il Trattato di Parigi, nasce la Ceca, composta da sei Paesi: Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania Ovest. L’obiettivo è di creare un mercato comune per il carbone e l’acciaio tra i suoi membri, per promuovere la cooperazione economica e prevenire futuri conflitti.
“L’astio di Churchill cresce ,con tentativi – violenti ma infruttuosi – di bloccare la politica di De Gasperi e rovesciare i suoi governi di unità nazionale”. Il momento più teso si consuma nel 1952, quando l’Italia apre un canale diretto di relazioni con Egitto e Iran. Per Churchill, la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Gamal Abdel Nasser è anche il riflesso dell’attivismo italiano.
“Il premier conservatore, nel frattempo, ha riorganizzato il SOE, il servizio segreto che lui stesso ha fondato nel 1940, trasformandolo in uno strumento di guerra politica, anche contro alleati scomodi”. Londra reagisce con un’ondata di operazioni coperte: scandali mediatici, campagne diffamatorie, infiltrazioni nelle testate italiane. Durante la crisi egiziana e persiana, la macchina del fango partorisce lo scandalo Montesi e il caso Guareschi, avvelenando il clima politico.

“Il primo – rammenta Fasanella – esploso nell’ottobre 1953, coinvolge il musicista Piero Piccioni, figlio di Attilio, delfino politico di De Gasperi. Il secondo, del gennaio 1954, riguarda le false lettere pubblicate dal settimanale di estrema destra Candido, fondato e diretto da Giovannino Guareschi, secondo le quali De Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati di bombardare Roma nel 1944. Piccioni viene assolto, le lettere si rivelano false e Guareschi è condannato per diffamazione”.
Episodi con un denominatore comune.
Le carte d’archivio mostrano una regia precisa, una strategia accuratamente pianificata per accompagnare l’uscita di scena del leader trentino. La rivelazione più sorprendente emerge nei capitoli finali: De Gasperi tratta personalmente con Churchill, tramite un emissario, per ottenere un documento che lo scagioni. In cambio, accetta di ritirarsi dalla politica. Poco dopo, lascia ogni incarico.
Il 19 agosto 1954, muore nella sua casa di Borgo Valsugana. “Si parla di flebite o puntura di insetto. Più verosimilmente, si tratta di crepacuore”. Un collasso da stress dopo anni di sfibrante guerra occulta. Una lettera del viceambasciatore a Roma Archibald D. M. Ross, inviata al ministro degli Esteri Anthony Eden alcuni giorni dopo il decesso, lo conferma con spietato cinismo: “Era virtualmente in fin di vita sin dall’anno scorso”, si legge, giacché “si era rifiutato di assumere l’unico farmaco che avrebbe potuto allungargli la vita: il pensionamento”. Se fosse vissuto sino al maggio 1955, avrebbe potuto “candidarsi” alla Presidenza della Repubblica.
La maledizione italiana è, dunque, molto più di un libro su De Gasperi. È un esercizio di controstoria, che intreccia vicende italiane e dinamiche internazionali: Mattei, Olivetti, Moro, Togliatti, Giolitti, Cavour. Tutti, in tempi e modi diversi, tentano di rafforzare l’autonomia del Paese. Tutti entrano in rotta di collisione con interessi esterni. E tutti, a modo loro, pagano un prezzo.

Il filo conduttore è un rapporto mai pacificato, e spesso rimosso, con Londra, da rileggere alla luce dei documenti oggi accessibili.
Sullo sfondo, una domanda: perché in Italia manca una vera cultura della sovranità?
La risposta la suggerisce il libro: sta nell’assenza di continuità progettuale e culturale e nella fragilità delle classi dirigenti. La maledizione italiana è dunque, anche, una riflessione sull’educazione strategica.
Giovanni Fasanella, nel concludere, cita l’esperienza del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri, come esempio virtuoso di formazione alla consapevolezza. Perché l’Intelligence – intesa come metodo di comprensione e orientamento – è uno strumento essenziale per ogni democrazia che voglia conoscere sé stessa e difendere la propria libertà.
Rileggere la storia d’Italia con questa lente non significa indulgere a una dietrologia sterile, ma esercitare quella responsabilità critica che è fondamento di ogni sovranità autentica. Perché le decisioni politiche non maturano mai nel vuoto: sono l’eco di pressioni, condizionamenti, alleanze. E quando l’interesse nazionale non è compreso, discusso e protetto, diventa un varco aperto a ogni forma di ingerenza.