Roma, Caligiuri al convegno SIAF su sicurezza, giustizia e innovazione
Il presidente della Società Italiana di Intelligence tra i relatori dell’incontro dedicato agli strumenti per rafforzare coesione e fiducia sociale.
La pacificazione sociale è tornata a essere questione politica centrale. Non basta garantire ordine pubblico: senza sicurezza percepita, giustizia credibile, equità fiscale e capacità di innovare, il patto di cittadinanza si sfalda. È su questo terreno che oggi, a Roma, è intervenuto il presidente della Società Italiana di Intelligence Mario Caligiuri, chiamato a portare la prospettiva dell’Intelligence in un dibattito promosso dal Sindacato Italiano Autonomo Finanzieri.
Il convegno, ospitato al Grand Hotel Palace, si è aperto con gli interventi istituzionali del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli e del comandante generale della Guardia di Finanza Andrea De Gennaro, introdotti dal segretario generale del SIAF Eliseo Taverna. A seguire, il confronto tra figure politiche, giuridiche e accademiche: dal vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato Antonio Misiani all’onorevole Simonetta Matone, già magistrato di Cassazione; dal rettore Enrico Michetti al giurista Ranieri Razzante, dal segretario generale della Corte dei Conti Franco Massi alla criminologa Virginia Ciaravolo, fino al presidente nazionale delle ACLI Emiliano Manfredonia.
In questo parterre, la partecipazione di Caligiuri ha assunto un rilievo particolare.
Caligiuri ha invitato a guardare oltre i fronti di guerra convenzionali. La frattura, ha ricordato, non è quella tra Stati sul piano militare, ma quella tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. La posta in gioco non riguarda più soltanto equilibri geopolitici o economici, bensì la ridefinizione stessa della condizione umana. Chi controllerà lo sviluppo dell’IA controllerà il futuro. La competizione è cognitiva. Qui si manifesta la fragilità dell’Occidente e dell’Italia in particolare: il rischio di diventare periferia in un mondo dove il capitale sarà l’integrazione tra uomo e macchina.
La frattura tecnologica, ha proseguito Caliguri, si intreccia con la cattura normativa. Come ha mostrato Katharina Pistor, una parte crescente della legislazione economica nei Paesi occidentali viene redatta da grandi studi legali angloamericani e solo ratificata dai parlamenti nazionali. Non è complottismo ma dinamica concreta: chi scrive le regole determina chi avrà vantaggi e chi dovrà sostenere i costi. La sovranità legislativa si svuota, mentre la capacità degli Stati di governare i processi economici si riduce.
A questa duplice vulnerabilità si somma il disagio sociale. Quando una quota rilevante di popolazione scivola rapidamente dalla sicurezza economica alla marginalità, la questione non è più di welfare ma di stabilità politica. In Italia il dieci per cento della popolazione detiene il sessanta per cento della ricchezza, mentre milioni di cittadini rinunciano a cure mediche e oltre un minore su quattro è a rischio di esclusione sociale. Il dato decisivo non è l’ampiezza delle disuguaglianze, ma la rapidità con cui si allargano. Non è la povertà in sé a minacciare la democrazia, bensì la perdita improvvisa di status, la caduta dalla classe media all’indigenza. In questo processo si incrina il patto sociale: lo Stato non è più percepito come garante di opportunità, ma come ostacolo da eludere o da abbandonare. È qui che si apre lo scenario più pericoloso, fatto non di rivolte ma di ritiro silenzioso, evasione fiscale, sfiducia diffusa. Una democrazia può gestire la violenza, ma non può sopravvivere alla perdita di consenso.
L’Italia si trova quindi al crocevia di tre linee di frattura: tecnologica, normativa e sociale. La loro combinazione rischia di collocarla non tra i protagonisti, ma tra gli spazi di conquista digitale e politica. Prepararsi a conflitti convenzionali non basta, se la vera minaccia si manifesta dentro il tessuto sociale e istituzionale. Le politiche di welfare diventano strumenti di sicurezza nazionale, gli indicatori economici segnali di allerta strategica.
La partita decisiva del ventunesimo secolo si gioca sulla capacità di integrare tecnologia, diritto e coesione sociale. Per l’Italia non si tratta di scegliere se partecipare, ma di decidere con quale ruolo.

