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Dimensione cognitiva della sicurezza nazionale: la valorizzazione del talento come politica d’Intelligence educativa

L’approvazione del disegno di legge sugli studenti ad alto potenziale cognitivo segna un passaggio rilevante nella ridefinizione del capitale umano nazionale. L’intervento, oltre la sua apparente natura pedagogica, introduce una visione della conoscenza come risorsa di potenza. Identificare, coltivare e trattenere le menti migliori diventa così un obiettivo di tutela e governance. A ribadirlo è stato il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ha sottolineato come il provvedimento compia “un passo decisivo verso una scuola capace di valorizzare i diversi talenti dei giovani”, definendo gli alunni plusdotati “una risorsa straordinaria per il Paese”.

Nel sistema internazionale, la competizione tra Stati si misura sempre più sulla qualità del capitale intellettuale e sulla capacità di generare innovazione. Il riconoscimento e la valorizzazione precoce del talento assumono un rilievo che trascende la dimensione educativa per divenire politica di sicurezza nazionale. L’intelligenza, intesa come insieme di facoltà cognitive e decisionali, rappresenta un asset strategico al pari dell’energia, delle risorse digitali o delle infrastrutture critiche.

Il disegno di legge approvato dal Senato istituisce, di fatto, un sistema di rilevazione e orientamento delle eccellenze, aprendo la strada a una gestione organica del capitale mentale del Paese. Il provvedimento prevede la costituzione di un Comitato tecnico-scientifico interministeriale e la delega al Governo per l’adozione dei decreti attuativi. Questa architettura introduce una forma embrionale di governance cognitiva, capace di integrare politiche educative, sanitarie e scientifiche in un disegno unitario di potenziamento nazionale.

Il coinvolgimento del Ministero della Salute accanto a quello dell’Istruzione rivela un cambio di paradigma: il talento non è più materia didattica, ma di interesse nazionale che incrocia dimensioni psicologiche, neuroscientifiche e sociali. La gestione istituzionale delle capacità cognitive diventa, di fatto, un nuovo dominio, dove la protezione del potenziale umano si affianca a quella delle infrastrutture.

In questo scenario si inserisce una riflessione più ampia sulla condizione cognitiva delle società contemporanee. La diffusione di modelli comunicativi brevi, immediati, fortemente emotivi, ha favorito la progressiva erosione delle competenze di lettura e analisi che per secoli hanno sostenuto la civiltà della conoscenza. Il sociologo Neil Postman (1931-2003) ha descritto questo fenomeno come il passaggio a una “società post-alfabetizzata”, segnata da una trasformazione nel modo stesso di pensare. L’attitudine alla lettura, che educa alla logica e alla deduzione, cede il passo a un consumo bulimico e frammentario dell’informazione, dove la velocità e la quantità prevalgono sulla comprensione e sulla qualità delle informazioni fagocitate.

Tale mutazione non è irrilevante. La perdita di capacità argomentativa e di discernimento riduce la resilienza cognitiva delle collettività, rendendole più esposte alla manipolazione percettiva e all’influenza informativa. In questa prospettiva, la tutela del pensiero critico diventa funzione di sicurezza nazionale. Una società incapace di leggere in modo analitico è una società più vulnerabile, meno in grado di comprendere e quindi di difendersi.

La formazione dei docenti, prevista dalla riforma, assume in questo quadro un valore assolutoL’insegnante non è più solo un detentore/divulgatore di conoscenza, ma osservatore qualificato – e privilegiato – delle potenzialità cognitive. Diventa, in senso lato, un operatore di Intelligence educativacapace di individuare segnali deboli, riconoscere percorsi divergenti, stimolare il pensiero complesso. La scuola si configura così come presidio di sicurezza cognitiva, strumento di prevenzione contro la dispersione intellettuale e la marginalità culturale.

L’Italia, attraverso questa legge, si riallinea alle esperienze europee che già integrano la gestione del talento nelle strategie di competitività e innovazione. La geopolitica della conoscenza non riguarda più soltanto università e ricerca, ma la costruzione di un ecosistema capace di generare valore cognitivo e potere interpretativo. Il sapere, in questa prospettiva, è materia di intelligence: risorsa da identificare, proteggere e orientare.

Come rimarcato anche da Mario Caligiuri, ordinario di Pedagogia all’Università della Calabria e presidente della Società Italiana di Intelligence, la plusdotazione rappresenta uno snodo evolutivo. In un mondo in cui l’IA sostituisce l’uomo in compiti sempre più sofisticati, studiare i meccanismi del pensiero diventa essenziale per preservare ciò che rende l’umano irriducibile.

Nel XXI secolo la sicurezza non coincide più con la difesa fisica del territorio, ma con la capacità collettiva di comprendere, anticipare e decidere. Investire sulle eccellenze cognitive significa rafforzare la resilienza mentale del Paese, garantendo continuità di competenze nei settori strategici e assicurando quella lucidità analitica e creativa indispensabile alla sopravvivenza dei sistemi complessi.

La conoscenza diventa così potere. Governarla significa orientare la direzione del pensiero e, con essa, il destino della nazione.

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