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L’Intelligence come competenza democratica

Quasi 600 lemmi e 172 autori tra accademici, ricercatori, analisti, militari. Pluralità prospettica, rigore scientifico, coerenza metodologica. E’ il Dizionario di Geopolitica pubblicato dal Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), curato da Danilo Ceccarelli Morolli e nato in seno all’IRAD Istituto di Ricerca e Analisi. Un dizionario che segna un passaggio significativo nella costruzione di una cultura strategica italiana fondata sull’integrazione tra conoscenza, sicurezza e responsabilità pubblica.

Volume di agevole consultazione, non si limita a colmare un vuoto editoriale, ma propone una visione della geopolitica come sapere operativo, in cui la comprensione del mondo diventa strumento di governo della complessità.

All’interno dell’opera, la voce dedicata all’Intelligence – redatta da Mario Caligiuri, presidente SOCINT – emerge come innovativa, per l’ampiezza della prospettiva teorica e la profondità delle implicazioni culturali. Caligiuri definisce l’Intelligence come “la forma più raffinata dell’intelligenza umana”, recuperando il senso originario del verbo latino intelligere. Non arte della segretezza, dunque, ma facoltà cognitiva complessa, capace di trasformare l’informazione in conoscenza utile all’azione.

Secondo l’autore l’Intelligence va intesa come apparato dello Stato, nei tradizionali Servizi; come metodo di elaborazione delle informazioni utilizzato da tutti; e come complesso delle funzioni di trattamento delle informazioni nei fatti che rendono possibile un processo decisionale. Questa articolazione supera la visione riduttiva che identifica l’Intelligence con la dimensione istituzionale-governativa, riconoscendone invece la natura poliedrica e trasversale.

Partendo da questa definizione, azzardando un paragone “non convenzionale”, si potrebbe cogliere una corrispondenza concettuale tra struttura frattale e architettura dell’Intelligence. Come i frattali di Mandelbrot rivelano schemi ricorsivi a ogni scala di osservazione, così l’Intelligence replica le medesime operazioni su livelli differenti di complessità: il cittadino che verifica una fonte online e l’Agenzia che valuta minacce strategiche seguono, in fondo, lo stesso processo cognitivo. E come i frattali generano complessità infinita iterando regole elementari, così l’Intelligence produce comprensioni sofisticate moltiplicando l’operazione basilare racchiusa nell’etimo latino intus legere: leggere dentro, collegare, comprendere.

Particolarmente significativa è l’idea della “rapidissima e imprevedibile metamorfosi” del concetto di Intelligence nel mondo contemporaneo. Da attività cognitiva individuale, essa è divenuta necessità collettiva, poiché la complessità dell’organizzazione sociale ha ormai superato le capacità cognitive del singolo. L’Intelligence diventa così risposta sistemica alla crisi di comprensione prodotta dal sovraccarico informativo, una funzione essenziale per distinguere il segnale dal rumore in un habitat dominato dall’algoritmo. In questa direzione si colloca il richiamo al programma Augmented Cognition della DARPA, che già dagli anni Sessanta prefigurava l’integrazione tra capacità umane e tecnologie digitali per rafforzare i processi decisionali.

Nella parte conclusiva, Caligiuri ribadisce che l’Intelligence non è solo strumento tecnico, ma necessità sociale. È qui che la riflessione assume una valenza democratica: l’Intelligence come educazione al pensiero critico, alfabetizzazione informativa, consapevolezza civica. Se la disinformazione, le fake news e le guerre cognitive minacciano oggi le democrazie dall’interno, la cultura dell’Intelligence diventa strumento di autodifesa cognitiva per il cittadino.

Si tratta di un cambio di paradigma che apre un dialogo con filoni di ricerca internazionali – dalla critical information literacy alla cognitive resilience – e colloca l’Intelligence al crocevia tra studi strategici e scienze dell’educazione. L’intuizione è chiara: la sicurezza di una società dipende non solo dai suoi apparati, ma dalla qualità della sua conoscenza. La democrazia informata si fonda su cittadini capaci di verificare le fonti, riconoscere i bias, contestualizzare i dati, collegare elementi apparentemente scollegati. Nel quadro del Dizionario di Geopolitica, questa impostazione rappresenta un punto di equilibrio ideale tra la dimensione teorica e quella applicativa. La geopolitica vi appare non come disciplina descrittiva, ma come sapere fondato sulla capacità di leggere il mondo con metodo. L’Intelligence, in questo contesto, diventa la grammatica cognitiva della geopolitica: la capacità di interpretare, anticipare e decidere.

Mattia Siciliano, Mario Caligiuri alla presentazione del Dizionario

Il progetto editoriale del CASD si distingue per la coralità del contributo e per la sua impostazione che coinvolge accademici, giovani ricercatori e ufficiali delle Forze Armate in una comune impresa di costruzione del sapere. L’obiettivo dichiarato è fornire una “bussola culturale e analitica” capace di orientare studiosi, decisori e cittadini nella comprensione del mondo. La voce di Caligiuri – come pure le altre redatte da membri SOCINT – ne rappresenta il cuore metodologico: la consapevolezza che la conoscenza, per essere utile, deve essere condivisa e responsabilmente esercitata. Una visione che restituisce all’Intelligence il suo significato originario: strumento di comprensione, non di occultamento; esercizio di libertà, non di controllo. L’Intelligence come competenza democratica non è solo una formula suggestiva, ma una condizione di sopravvivenza delle democrazie liberali nel secolo digitale.

Come ricorda il generale Stefano Mannino nella prefazione del volume, citando Tucidide, cronista della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), “la forza fa il diritto quando le potenze sono pari; altrimenti, i forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono”. In questa antica lezione si riflette l’attualità di un principio essenziale: senza conoscenza, la libertà è vulnerabile. L’Intelligence, nella sua accezione più alta, diventa allora la forma moderna di quella vigilanza culturale che consente alle democrazie di restare tali.

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