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Città e Campagna

La dicotomia tra città e campagna nelle operazioni militari contro-insurrezionali, una riflessione della commissione GEOINT.

Le ultime notizie provenienti dall’Afghanistan hanno generato una serie di polemiche, in particolare, su come gli Stati Uniti e l’occidente concepiscano e conducano le guerre asimmetriche.

L’intelligence statunitense è stata particolarmente criticata, in particolare per non aver saputo prevedere il rapido susseguirsi degli eventi che ha portato al caos dell’aeroporto di Kabul.

La fulminea avanzata dei talebani ha sorpreso molti osservatori, sebbene il risultato finale fosse abbastanza prevedibile. Lungi dal voler analizzare in questa sede cause e conseguenze, si vorrebbe ragionare su alcuni testi di Robert H. Scales, analista militare ed esperto di guerre asimmetriche, pubblicati alcuni decenni fa. Ci pare utile farlo perché si ritene che alcuni punti fermi, individuati dall’autore, siano d’aiuto per comprendere quanto accaduto in Afghanistan.

I testi di riferimento sono “Fire Power in Limetd Wars” e “The Past and Present as Prologue“. Il primo si concentra su temi relativi alla guerra del Vietnam e dell’invasione sovietica dell’Afghanistan; il secondo su come affrontare i conflitti asimmetrici delle prima decade degli anni 2000, principalmente in Iraq e Afghanistan.

Il binomio città e campagna

Scales sostiene che un nemico che controlli le aeree rurali e abbia la disponibilità di un santuario dove potersi rifugiare non possa essere sconfitto, né dalla potenza di fuoco, né dalla tecnologia. Questo nemico infatti può cambiare a piacimento il tipo di lotta che conduce, passando dalla guerriglia alla guerra convenzionale.

Tale riflessione deriva dall’osservazione dei conflitti del Vietnam dagli anni ’50 agli anni ’70, studiando le tecniche del generale Giap. Egli era il comandante dei combattenti vietnamiti Viet-Minh (poi detti Viet-Cong), le sue tattiche si basavano sulla modulazione dell’intensità del conflitto. Giap poteva abbassare il livello dello scontro ogni qual volta le tecniche di combattimento occidentali lo mettevano in difficoltà.

Le perdite ed il concetto di guerra di attrito

I vietnamiti erano inoltre disposti ad accettare un numero di perdite molto maggiore rispetto agli occidentali. Ciò significava poter colpire pochi soldati avversari per essere percepiti dai loro nemici come un problema serio e senza soluzione. Secondo una nota frase di Ho Chi Minh potremmo fissare questa variazione nell’accettazione delle perdite con un rapporto di 10 ad 1.

Ucciderete dieci dei nostri, noi uccideremo uno dei vostri, ma alla fine sarete voi a stancarvi per primi”. Ho Chi Minh

La disponibilità di santuari, cioè di aree al di fuori delle capacità operative del nemico, consentiva a Giap di riorganizzare il grosso dell’esercito in aree sicure, lasciando poche cellule terroristiche nelle città o in aree remote dell’area di operazioni. Ciò consentiva di continuare ad esercitare un minimo di pressione sugli avversari, in particolare sul loro livello politico. Al contempo permetteva di mantenere l’iniziativa scegliendo le battaglie con cura, attaccando lì dove il nemico era più debole, potendo concentrare le forze senza disturbo per conseguire un vantaggio schiacciante con il numero di combattenti, al fine di mitigare la superiorità di potenza di fuoco occidentale.

Questa differenza nell’approccio al problema militare, con l’accettazione di perdite umane così alte, si rivelò più efficace rispetto all’approccio di misurazione quantitativa degli Stati Uniti. Le gerarchie militari americane erano convinte di poter vincere la guerra misurando una serie di indicatori, il più importante dei quali era l’ordine di battaglia vietcong. La strategia americana era quella di uccidere più combattenti di quelli che il vietnam del nord potesse riuscire a mettere in linea, una guerra di attrito insomma. Parte di queste tematiche è stata affrontata in un altro articolo della Commissione GEOINT.

Il controllo della popolazione

Per controllare le aree rurali era necessario il supporto della popolazione locale, o almeno la sua non interferenza, cosa comunque difficile per delle comunità di contadini prive di collegamenti e di alternative pratiche a quella vita. Per dirla in termini militari: con queste condizioni l’insorgenza vietnamita manteneva l’iniziativa strategica.

Tale condizione non può essere modificata da un impegno militare, ma deve essere affrontata con azioni politiche. Non si può fare a meno di notare come in Afghanistan la strategia talebana sia stata molto simile, controllo effettivo solo di alcune aree rurali, con dei santuari in Pakistan che non potevano essere colpiti, possibilità di scegliere dove colpire, alta accettazione delle perdite.

I tre livelli militari del problema

Scales evidenzia quali sono, a suo giudizio, le leve da utilizzare per vincere una guerra asimmetrica. Egli individua tre azioni mitigatrici, una per ogni livello della guerra, che dovranno servire a far perdere il supporto della popolazione agli insorti e negargli i loro santuari. In ultima analisi: fargli perdere l’iniziativa strategica che gli deriva dal controllare la campagna.

Azioni del livello strategico

A livello strategico sono fondamentali le alleanze. Gli Stati Uniti non dovrebbero mai affrontare tali campagne militari da soli, bensì essere gli animatori di coalizioni internazionali. E’ fondamentale difendere e sostenere i governi locali, coinvolgendo così la relativa popolazione. Per fare ciò è necessario che le Forze Armate statunitensi siano in grado di addestrare ed assistere in combattimento le forze governative e le altre forze della coalizione. Tale capacità è ormai un caposaldo dottrinale anche nella NATO e va sotto il nome di Security Force Assistance (SFA), come già notato da Claudio Bertolotti. Tale concetto ha dato anche origine ad un centro di eccellenza sul tema, che è ospitato proprio in Italia, lo SFA COE.

Azioni del livello operativo

Il livello operativo, secondo Scales, è invece caratterizzato dal catturare la percezione della popolazione, anziché conquistare posizioni chiave sul terreno. Tutto deve essere volto ad influenzare l’opinione di quattro target audience principali: il nemico, la popolazione locale, l’opinione pubblica americana e i media globali. Tutte le azioni tattiche (cinetiche e non) devono essere volte a sostenere una narrativa che faccia schierare la popolazione locale verso il sostegno alle forze armate americane e quindi al governo da esse supportato. Alla luce del vantaggio strategico nel controllare le aree rurali con il sostegno della popolazione, si comprende perché l’autore punti molto su questo concetto del sostegno della popolazione locale (e nazionale).

Azioni del livello tattico

Il livello tattico è caratterizzato dalla capacità di combattimento di piccole unità altamente addestrate e supportate dal massimo della tecnologia e della potenza di fuoco. Il focus è sulla sopravvivenza di tali unità, che dovranno avere meno perdite possibili, ma massimizzare quelle degli insorti al fine di mitigare l’altro vantaggio degli insorti: l’accettazione delle perdite.

Ha Funzionato?

Dipende. Gli Stati Uniti hanno applicato questi concetti negli ultimi 20 anni, ma non in maniera metodica ed uniforme. Tali metodi hanno trovato spazio in Iraq e Siria con la guerra all’ISIS ma in Afghanistan le cose sono andate molto diversamente. Il successo della campagna militare contro lo Stato Islamico in Siria sembra dovuto proprio all’applicazione delle metodologie individuate da Scales, contro i talebani, però, il comportamento degli Stati Uniti ha mancato gli obbiettivi in almeno tre aspetti fondamentali.

Livello Strategico

Gli Accordi di Doha sono stati bilaterali, cioè tra governo americano e Talebani. I rappresentati della NATO o del governo afgano non sono stati coinvolti. Tale comportamento equivale a dire al mondo che la campagna militare afgana è un affare solamente statunitense. Inoltre gli USA, hanno rispettato i termini dell’accordo senza pretendere una reale reciprocità, come ad esempio un cessate il fuoco che riguardasse anche l’esercito afgano. Solo nell’ultimo anno l’Afghan National Army (ANA) ha perso più uomini che gli Stati Uniti in 20 anni di campagna militare.

Livello operativo

Si è speso molto per costruire una narrativa coerente con l’impegno militare americano. Però l’opinione pubblica non è un monolite, non è una struttura che una volta edificata è immutabile nel tempo. Al contrario è una condizione fluida che può essere influenzata in maniera del tutto irrazionale anche da eventi non direttamente correlati.

Scales punta molto sul comunicare sempre la verità con la massima trasparenza possibile. Questo non sembra bastare, perché le masse sono sensibili anche alle bugie. La percezione della popolazione non è una verità scientifica condivisa e replicabile che si basa su fatti reali. Le percezioni possono essere distopiche, o comunque maggiormente influenzate da motivazioni irrazionali o da suggestioni non legate alla realtà. Bugie coerenti con i pregiudizi, anche culturali, della popolazione locale troveranno sempre più credito di una realtà saldamente ancorata a dei fatti riscontrabili. Su questo si pensi alla diffusione delle teorie del complotto in occidente, la questione è bene affrontata nel libro “La Guerra e le False Notizie“.

Quello che forse è mancato alla popolazione afgana è stata una concreta alternativa. Secondo Enaiatollah Akbari in Afganistan non c’è mai stato un vero mercato del lavoro, le alternative possibili erano arruolarsi nella polizia o nell’esercito oppure coltivare l’oppio sostenendo in tal modo i talebani e gli altri signori della guerra. Questa mancanza di alternative è forse quello che ha segnato il destino dell’Afghanistan, perché le opinioni sono indifferenti se la condizione di vita non cambia. Se questo è vero, si comprende come mai dopo l’abbandono americano l’ANA non ha combattuto. Perché rischiare la vita se alla fine la mia condizione materiale rimarrà la stessa?

Livello tattico

il livello tattico si è basato molto sul supporto di fuoco, il potere aereo USA è stato il segno distintivo delle operazioni militari. Gli insorti hanno mitigato questo svantaggio confondendosi con la popolazione civile, che quindi è diventata una vittima collaterale. Questo ovviamente non ha aiutato la narrativa del livello operativo e strategico. Alla fine il metodo di misurazione quantitativo già applicato in Vietnam sembra aver prevalso anche qui, ma si doveva già sapere che la perdita di vite umane non era l’unico fattore da tenere in considerazione. Almeno non quando si conduce una guerra asimmetrica in Asia, dominata dalla dicotomia tra città e campagna.

Loss of hope rather than loss of life is what decides the issues of war” B. H. Liddell Hart

Il Futuro?

E’ difficile prevedere cosa succederà, certamente in questo momento la comunità internazionale (soprattutto gli alleati occidentali) sta cercando di capire come evolverà la strategia USA. Il discorso del Presidente Biden del 16 agosto 2021 aggiunge dei segnali contrastanti a quelli che abbiamo visto sopra. In tale intervento si è negato l’obbiettivo di fare State Building in Afghanistan, rivendicando solo la lotta al terrorismo; un brutto segnale anche per l’Italia che si era assunta l’onere nel ricostruire il sistema giudiziario afgano.

Si preannuncia una stagione del tutto differente in politica internazionale e forse una profonda revisione della dottrina militare occidentale nei prossimi anni. Una parte delle attività GEOINT nate agli inizi degli anni 2000 si poneva come obbiettivo quello di contrastare la libertà di movimento degli insorti nelle aree rurali, tramite lo sfruttamento delle enormi quantità di dati che le agenzie di intelligence erano in grado di produrre. Ne era nato addirittura un nuovo approccio nel modo di fare intelligence, l’Activity Based Intelligence (ABI), pensato specificatamente per affrontare le guerre asimmetriche. Molto probabilmente queste tematiche subiranno una profonda revisione concettuale. Possiamo dire, che ancora oggi, in Asia le zone rurali sono il vero centro di potere. Tra città e campagna vince quest’ultima.

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